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La rottura neo-modernistica
al Concilio Vaticano II e nei Nuovi Riti

di Discipulus Ecclesiae Romanae
[Tradotto dal testo inglese al http://www.franciscan-archive.org/apologetica/rupture.html]

Riportiamo volentieri il primo di quattro articoli (gli altri li bubblicheremo in seguito) scritti dallo studioso tradizionalista che si firma Discipulus Ecclesiae Romanae. L'argomentare non è il solito, ma argutamente prende le mosse da considerazioni fondanti per la dottrina cattolica.
Ringraziamo di cuore il sito franciscan-archive.org che ce ne ha consentito la pubblicazione.

 

Introduzione

       Nella primavera del 2001 Mons. Aurthur Burton Calkins diede una conferenza all'incontro annuale dell'Associazione per la Liturgia Latina, a Chicago, USA, intitolata, "The Latin Liturgical Tradition: extending and solidyfing the continuity", che fu pubblicata su Internet
da http://www.latinliturgy.com/calkinstalk_lla.htm .

       L'autore lavorava per la Commissione Pontificia "Ecclesia Dei", ed è ben noto per il suo lavoro teologico in favore della Corredenzione della Madonna negli scritti e nelle udienze di Papa Giovanni Paulo II.

       Comunque, nella conferenza di Mons. Calkins c'è un altro tema: cioè la cattolicità del recente Concilio e delle sue implementazioni, particolarmente riguardo alla liturgia. Nella sua conferenza il Monsignore ha mostrato chiaramente l'opinione che il Novus Ordo e i riti che lo accompagnano sono il sentiero certo e cattolico per lo sviluppo della Chiesa nel terzo millennio.

       Lo scopo del presente articolo è quello di rispondere alle supposizioni principali e alle teorie dalle quali Mons. Calkins derivò le sue conclusioni, e mostrare rispettosamente come esse lo abbiano condotto lungo la via del modernismo e che il sentiero cattolico conduce lungo un'altra via, verso conclusioni assai differenti da quelle indicate dal Monsignore.

       Alcuni principi essenziali della Cattolicità pertinenti alla discussione attuale sono: a) Il Cristiano è discepolo, b) L'Identità diacronica, c) L'Autorità del Concilio Vaticano Secondo.

 


I. Il Cristiano è discepolo

       La Chiesa Cattolica fu fondata dal Cristo storico per essere una istituzione perpetua che offre la Sua salvezza ai popoli di tutti i secoli. Poiché il Verbo Eterno di Dio ha degnato associarsi agli uomini partecipando della nostra natura umana presa da Maria, l'Immacolata Vergine, fu conveniente e adatto che essendo il nostro Salvatore Egli fosse anche il nostro Maestro (magister), il Messia.

       Poiché il nostro Salvatore venne a restaurare non solo l'ordine giusto tra il corporale e lo spirituale, ma anche tra lo spirituale e il divino, fu necessario che Egli fosse principalmente e prima di tutto un Maestro della Verità Divina, e quindi prima insegnò e poi patì.

       Perciò, come membri della Sua Vera Chiesa, siamo prima e essenzialmente discepoli. Pertanto è adatto e necessario che siamo studenti e insegnanti: studenti in quanto dobbiamo essere sempre allievi della dottrina di Cristo, così come è tramandata nella Chiesa; insegnanti in quanto generalmente dobbiamo essere sempre pronti a offrire una spiegazione di quel che crediamo in Cristo come Cattolici (cfr. 1 Pietro 3,15), soprattutto quelli di noi ai quali è affidato il compito d'insegnare (sia il Papa, sia il Vescovo, sia il Parroco o il catechista) dare testimonianza ufficiale alla verità del credo della Chiesa.

       Ora parlando di questo principio, non voglio dire né sembrar di voler dire che il reverendo Monsignore non conosca tale principio, né che non ne sia consapevole qualsiasi lettore della sua conferenza o di questo articolo, ma l'ho ricordato perché, come vedremo, è essenziale per un retto intendimento della crisi attuale nella Chiesa.

       Adesso voglio solo riferirmi a questa conclusione, cioè, che in questa risposta che do a Monsignor Calkins, c'è la mia intenzione di fare il discepolo della Chiesa Romana cattolica, dalla quale posizione parlo a Monsignore come insegnante, perché credo che in questo modo si manifesterà in modo più chiaro la maniera in cui voglio indicare gli errori fondamentali dei quali credo egli è inconsapevole nel suo tema; e che in questo non voglio disprezzare il reverendo Monsignore, ma dalla carità che gli devo mostrare in Cristo e nella riverenza con la quale lo considero come discepolo della Chiesa Romana, voglio per amore della Verità e della sua anima rendergli noto le cose che vedo essere assai sbagliate, oggettivamente.

       Per questa ragione ho scelto di rispondere come anonimo, affinché la verità della quale scrivo sia giudicata così com'è e non dal sospetto o nello spirito di fazione o secondo idee eccesiastico-politiche o come una manovra tradizionalistica né da qualsiasi voglia cattiva, reale o presunta, contro Mons. Calkins o contro l'Associazione per la Liturgia Latina.

 


II. L'Identità diacronica

       Nel fatto proprio dell'Incarnazione del Verbo s'è reso necessario che la verità della Sua dottrina e il Messaggio del Suo lavoro nel redimere si rendessero noti in tutti i secoli, ai popoli di tutti tempi. Per questa ragione, affinché la Dottrina e il Messaggio rimangano propagati fedelmente nel tempo, nel linguaggio e nella cultura, è necessario che il marchio di garanzia della identità diacronica sia salvaguardata con la massima cura da coloro ai quali il deposito della Fede è affidato, cioè, dal Papa e dai Vescovi in comunione con lui.

       Diacronica è una parola greca che vuole dire attraverso il tempo, nel tempo; identità è una parola latina che vuole dire essere il medesimo. Parlare, quindi, della identità diacronica significa essere il medesimo nel tempo. Questa identità diacronica è il marchio di garanzia del dogma e della dottrina che siano autenticamente cattoliche, circa la fede e i costumi, perché essendo la Vera Chiesa, contro la quale Cristo ha promesso che le porte dell'inferno mai sarebbero prevalse (cfr. Matteo 16,18), è de fide che Essa mai sarà corrotta nel suo magistero dagli errori circa la fede o i costumi, e quindi Essa sempre insegnerà fedelmente ciò che Cristo stesso insegnò e vuole che s'insegni fino alla fine dei tempi, fino alla consumazione di questo mondo.

       Questo principio di identità diacronica sta nelle fondamenta della nozione cattolica della Sacra Tradizione e della tradizione ecclesiastica. Perciò la comprensione viva della Rivelazione Divina che si ha nella Sacra Scrittura si mantiene incorrotta e autentica nella Sacra Tradizione, le quali due [Rivelazione e Tradizione] si perpetuano fedelmente dalla Chiesa per mezzo della tradizione ecclesiastica. Questo è il motivo per il quale il secondo concilio sacrosanto e ecumenico di Nicea, nell'A.D. 787, condannò nel suo quarto anathema, infallibile e dogmatico, l'errore seguente: Se qualcuno disprezza o rifiuta la tradizione ecclesiastica, sia scritta che non scritta, anathema sit.

       Anathema sit è una espressione greco-latina che vuole dire sia maledetto. Quindi non è esagerato dire che tenere tale errore sarebbe un peccato grave contro entrambi, la Fede e i costumi retti, e quindi noi cattolici dobbiamo aborrirlo con tutta la forza della mente e dell'anima. Perché non possiamo farlo senza evitare in pratica tutti gli errori che ci conducerebbero a questo peccato, è un dovere corrispondente per tutti i fedeli, dal Papa al laico in banca, quello di occuparsi di proteggere l'identità diacronica della Fede da qualsiasi corruzione che disprezza o rifiuta la tradizione ecclesiastica, sia scritta che non scritta.

 


III. L'Autorità del Concilio Vaticano Secondo

       Poiché il principio, secondo il quale viene attuata la riforma post-conciliare, è la dottrina del Concilio Vaticano Secondo e poiché si dovrà parlare di questa dottrina in questa risposta a Monsignor Calkins, è necessario prima spiegare cosa un Cattolico deve pensare riguardo ad essa, e quindi quale era, in particolare, l'autorità con la quale fu promulgato e qual è l'ubbidienza corrispondente dovuta ai suoi documenti.

       I documenti del Concilio Vaticano Secondo, sacrosanto ed ecumenico, sono atti della Chiesa autentica, esercitandosi in forma straordinaria il Magistero ordinario autentico. A questo riguardo è cruciale per una conoscenza retta del Concilio ricordare ciò che Sua Santità Papa Giovanni XXIII ha detto nel suo discorso d'apertura del Concilio (L'Osservatore Romano 12/10/1962), confermato dal Segretario del Concilio (Novembre 16, 1964) e da sua Santità Paolo VI alla chiusura del Concilio (L'Osservatore Romano 7/12/1965; AAS 1967,57; Udienza di 12/1/1966 stampata ne L'Osservatore Romano 21/1/1966), che il Concilio non ha voluto proporre, né infatti ha proposto, qualsiasi dottrina nella forma di una definizione infallibile o irreformabile. Sua eminenza il Cardinale Giuseppe Ratzinger, parlando davanti alla Conferenza Episcopale della Chile (cfr. Il Sabato 30/7 - 5/8/1988) ha riaffermato il medesimo concetto quando ha detto: "La verità è che il Concilio stesso non ha definito alcun dogma, e che consapevolmente ha voluto esprimersi a un livello più modesto, semplicemente come un Concilio pastorale". Il Vaticano II quindi è un esercizio del Magistero prudenziale, cioè dell'ufficio docente autentico esercitato in una maniera non-infallibile e consultoria, il Vaticano II nella misura in cui reitera accuratamente quella Fede tramandata una volta e per sempre agli Apostoli da Cristo Nostro Signore è infallibile (magistero ordinario autentico) e quando non accuratamente è fallibile (magistero autentico non-infallibile).

       Quindi in tutti i brani nei quali il Concilio propone dottrine e/o espressioni novelle i fedeli cattolici non sono obbligati in coscenza ad accettarle come dottrina definitiva e inoltre possono rifiutare quelle espressioni, se dopo studio sufficiente le trovano obiettivamente erronee (cfr. La Chiesa del Verbo Incarnato, del Cardinale Journet). In questa maniera è lecito per i fedeli in comunione con il successore legittimo e vero di San Pietro, il Papa Giovanni Paolo II, esaminare i testi dei documenti del Concilio e indicare e proporre modifiche che renderebbero qualsiasi documento più conforme al magistero infallibile della Chiesa.

       Quindi parlare degli errori nei testi del Concilio non è accusare la Chiesa di imporre errore, perché né il Concilio né il Papa Paolo VI ha imposto l'adesione alla dottrina del Vaticano II con il dovere dell'assenso di fede divina, ma solamente con un rispetto religioso (obsequium religiosum), che, secondo il Cardinale Journet (ibid., sotto "La Condanna di Galileo") obbliga al dovere di rispetto solo fino a quando gli errori sono manifestati mediante ricorso obbiettivo e ragionevole sia al deposito della Fede sia alla legge divina, morale o naturale.

 


Modernismo, Neo-Modernismo e la Nuova Teologia

       Il papa San Pio X nei suoi molti scritti definì il modernismo come il compendio di tutte le eresie, che vede la Chiesa cattolica dall'esterno, appropriandosi di una nozione diversa della "fede" intesa come "un senso religioso", e quindi che intende e pratica la Fede cattolica come il compimento della brama interna dell'uomo e come un sentimento giusto e adatto all'uomo moderno e al secolo nel quale uomo vive. Poiché il secolo diciannovesimo era un secolo di cambiamenti grandi in cultura, in tecnologica, in scienza, i modernisti invocavano novità di ogni genere, e anche se questo papa santo ha fatto molto per annientare il loro potere nella Chiesa, i loro molti errori sono cresciuti di nuovo durante il pontificato di Papa Pio XII.

       Una delle più prestigiose riviste teologiche durante il pontificato di Pio XII era l'Angelicum, la pubblicazione ufficiale dell'Università Pontificia di San Tomaso d'Aquino, il centro domenicano di studi a Roma. Nel 1946 è apparso in questa rivista l'articolo intitolato, "La nouvelle théologie où va-t-elle?" (cioè, "La Teologia Nuova, dove va?"). Era scritto dal P. Reginald Garrigou-Lagrange O.P., uno degl'insegnanti del futuro Papa Giovanni Paolo II. La traduzione inglese fu stampata nel Catholic Familiy News [MPO 743, Niagra Falls, NY 14302, USA (Tel.: 905-871-6292): Aug. 1998; vol. 5, no. 8, pp 1, 21-26].

       Il punto primario che P. Garrigou-Lagrange criticava era la nuova definizione di verità proposta da P. Henri Boulliar, nel suo libro Conversion et grâce chez S. Thomas d'Aquin (1944, pag. 219): "Poichè lo spirito si evolve, una verità si può mantenere immutabile solo in virtù di una evoluzione simultanea e correlativa di tutte le sue idee, ciascuna proporzionata all'altra. Una teologia che non è corrente sarà una teologia falsa".

       Anche se non c'è tempo qui per discutere le molte osservazioni giuste dell'articolo di P. Garrigou-Lagrange, è sufficiente dire che questa idea erronea di P. Boulliard riconduce all'errore modernista condannato dal Papa Pio X: "La verità non è più immutabile dell'uomo stesso, essa infatti si evolve con l'uomo, nell'uomo e mediante l'uomo" (Denzinger 2080)"

       Questa nuova definizione di verità era condannata ufficialmente di nuovo il primo di Dicembre di 1924, quando il Santo Ufficio censurò dodici proposizioni prese dalla filosofia d'azione. Nel quinto errore condannato si leggeva: "La verità non si trova in qualsiasi atto particolare dell'intelletto per mezzo del quale (intelletto) trova sé conforme all'oggetto, come dicono gli scolastici, ma invece la verità è sempre nello stato del divenire e consiste in una corrispondenza progressiva dell'intelletto con la vita, infatti uno specifico processo perenne, mediante il quale l'intelletto si sforza di sviluppare e spiegare ciò che l'esperienza presenta o che l'azione richiede: mediante il quale principio, comunque, come in tutte le progressioni, niente è mai determinato o fissato."

   
       Nell'errore dodicesimo si leggeva: "Anche dopo aver ricevuto la Fede, l'uomo deve non addormentarsi nelle dogmatiche nozioni della religione e non tenersi fisso e immobile ad esse, ma sempre sollecito nel mantenersi sveglio deve andare avanti verso una verità più profonda e evolverla anche in nuove nozioni e correggere anche ciò che egli crede."

       E poi papa Pio XII, che ha condannato esplicitamente la tesi fondamentale della Nuova Teologia, nel suo discorso pubblicato ne L'Osservatore Romano, (19 Diciembre 1946) disse: "C'è un gran parlare, ma senza la chiarezza necessaria dei concetti, riguardo alla "nuova teologia", che deve consistere in una trasformazione costante, seguendo l'esempio di tutte le altre cose nel mondo che sono in uno stato di flusso continuo e di movimento senza mai raggiungere il loro termine. Se mai accettassimo tale opinione, che diverrebbero i dogmi immutabili della Fede cattolica e che diverrebbero l' unità e la stabilità della Fede?"

       Qui si è necessario notare che il principale proponente, e comunque capo dei proponenti della nuova teologia, era P. Henri de Lubac. Il suo libro, Il Sopranaturale, anche se era stato censurato dal Santo Uffizio durante il pontificato di Pio XII, lo si teneva e usava dai neo-modernisti per formare le menti malleabili dei nuovi sacerdoti-teologi. Questo modus operandi è confermato pubblicamente dal P. Pietro Henrici S. J. in un articolo apparso nella rivista internazionale teologica Communio (Nov./Dec. 1990).

 
Oggi si parla tanto di Nuova Teologia, ma, pur se edotti dall'avvertimento evangelico "e fructibus cognoscetis eos" ( e i frutti sono velenosissimi e pessimi), sarà comunque utile accennaere qui ai "padri" eretici, viziosi e carnali (anche fin troppo) di tanta zizania chiamata "Nuova Teologia" ["voi avete per padre il diavolo"]. Intendiamo riferirci alle scandalose "love stories", oggi di pubblico dominio, di Teilhard de Chardin con Lucile Swan (per di più protestante e divorziata), di Urs von Balthasar con la "mistica" Adrienne von Speyr, di Karl Rahner S.J. con una signorina tedesca, che ha potuto pubblicare solo le proprie lettere (perché su quelle di "lui" è scattato il "veto" della Compagnia). Scandali e scandalosi che non è bene dimenticare, perché è vero che "non si coglie uva dai rovi" ovvero buona teologia da teologi scandalosi!



Il Principio della Telogia Nuova nei documenti del Vaticano II

       Non ci si sorprende, quindi, di trovare che durante il pontificato di Papa Giovanni XXIII simili teologi, come P. de Lubac, fossero non solo riabilitati senza una qualsiasi negazione delle loro tesi erronee, ma fossero invitati al Concilio come periti, che certi documenti importanti, come la Constituzione Dogmatica sulla Rivelazione Divina, fossero divenuti oggetto della visione modernista. Monsignor Calkins, nel citare un bramo di questo documento, ci rende noto questo errore: "Questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l'assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con l'intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio". (n. 8, paragrafo 2)

       La frase chiave è questa: "Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina." A prima vista questa sembra cattolica, perché infatti è vero che i membri della Chiesa stanno progredendo sempre verso la pienezza della verità divina. Ma dire che la Chiesa stessa sta progredendo verso la pienezza della verità divina vuole dire, alla lettera, che Essa non si è ancora appropriata di essa e quindi che le parole di Cristo agli Apostoli nel Cenacolo, "Quando Egli, lo Spirito di Verità, sarà venuto, Egli vi insegnerà tutta la verità," (Giovanni 16,13) e "Ma vi ho chiamato amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udito dal Padre mio" (Giovanni 15, 15), siano false e debbano essere interpretate nel senso che Cristo non è Dio e che gli Apostoli non abbiano ricevuto la pienezza della Rivelazione divina, e queste due proposizioni sono eretiche.

       Piuttosto, se tale proposizione fosse vera, cioè che la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, ne seguirebbe necessariamente che Essa sta in un cambiamento constante di aggiornamento e di trasformazione, sia di dottrina e di dogmatica, sia di fede e di costumi, sia di liturgia e di disciplina, affinchè mediante esso la Chiesa possegga la Verità sempre più pienamente. Mentre sarebbe vero che i membri progrediscono nel loro modo d'intendere la verità divina e che da parte loro questo progredire richiederebbe un possedere sempre più chiaro e esplicito della stessa Fede che fu trasmessa una volta e per sempre agli Apostoli, dalla parte della Chiesa intera il fatto che gli Apostoli e la Chiesa attraverso loro già si siano appropriati della pienezza della verità divina è addirittura il principio stesso sul quale è fondata l'identità diacronica della Fede.

       E' così, perchè una scienza che non ha una conoscenza piena del suo oggetto non è la stessa di quella che ne è priva, e infatti non possiede la pienezza di verità rispetto ad essa [= rispetto alla scienza piena]. Inoltre una scienza incompleta non è esatta, né la stessa diacronicamente circa il contenuto di verità conosciute con la scienza piena. Ma l'identità come concetto richiede almeno la nozione di somiglianza nel contare della quantità e qualità, poiché questa è la definizione di identità. E quindi è chiaro che il documento Dei Verbum, lo stesso documento conciliare che Monsignor Calkins citava nel suo discorso, è almeno secondo la sua dottrina assai erroneo, e quindi sarà causa formale di un intendimento errato della natura della Tradizione sacra ed ecclesiastica, precisamente perché esso nega l'identità diacronica dell'intendere della Chiesa riguardo alla Rivelazione Divina.

       Questa negazione implicita della identità diacronica è la ragione teologica dei neo-modernisti per il cosiddetto aggiornamento e per il rinnovamento liturgico secondo i principi proposti nel documento conciliare Sacrosanctum Concilium, sul rinnovamento della liturgia. Questo si vede in qualche sentenza chiave dello stesso documento:
              1. Il sacro Concilio si propone ... di meglio adattare alle esigenze del nostro tempo quelle istituzioni che sono soggette a mutamenti;
              4. Infine il sacro Concilio, obbedendo fedelmente alla tradizione, ….. vuole che in avvenire essi (riti) siano conservati e in ogni modo incrementati; desidera infine che, ove sia necessario, siano riveduti integralmente con prudenza nello spirito della sana tradizione e venga loro dato nuovo vigore, come richiedono le circostanze e le necessità del nostro tempo.
              14. È ardente desiderio della madre Chiesa che tutti i fedeli vengano formati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia e alla quale il popolo cristiano, "stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo acquistato " (1 Pt 2,9; cfr 2,4-5), ha diritto e dovere in forza del battesimo. A tale piena e attiva partecipazione di tutto il popolo va dedicata una specialissima cura nel quadro della riforma e della promozione della liturgia. Essa infatti è la prima e indispensabile fonte dalla quale i fedeli possono attingere il genuino spirito cristiano, e perciò i pastori d'anime in tutta la loro attività pastorale devono sforzarsi di ottenerla attraverso un'adeguata formazione.

       Il primo principio, esposto nel primo paragrafo del Sacrosanctum Concilium, era condannato dallo stesso Apostolo S. Paolo, che scrisse: Non conformatevi al secolo presente, ma siate trasformati mediante il rinnovamento delle vostre menti (Romani 12,2). Ciò non vuol dire che la Chiesa non sta nel presente, ma che il principio autentico di azione pastorale non è conformità al presente, ma conformità al Cristo Signore, e quindi mediante l'esposizione di un rinnovamento liturgico su base erronea, il rinnovamento liturgico come proposto dal Concilio stesso -- non è una questione dell'applicazione pratica del Concilio -- è fondamentalmente erroneo e quindi produrrà in pratica applicazioni dannose all'identità diacronica della Fede. Questo è inevitabile poiché dal primo instante in cui qualcuno volge il suo sguardo via da Cristo perde la sua propria stabilità, secondo l'insegnamento del Vangelo (cf. Pietro sulla mare di Galilea).

       Il secondo principio, nel quarto paragrafo dello stesso documento, contiene una negazione implicita della identità diacronica e della pienezza della Verità Divina, nella misura in cui dice "riveduti integralmente con prudenza nello spirito della sana tradizione". Poiché nel dire che il Rito Romano, che è infatti la tradizione ecclesiastica della Messa nella Chiesa latina, deve essere "riveduto . . . nello spirito della sana tradizione" vuole dire che esso non è in conformità con la sana tradizione; e qui mediante "la sana tradizione" si vuole dire "la tradizione ecclesiastica", poiché il Concilio è solito a distinguere Tradizione da tradizione per mezzo dell'aggettivo "sacra" utilizzato per la prima. Quindi questo secondo principio implicitamente dice anche che la tradizione liturgica della Chiesa Romana non è in conformità alla tradizione ecclesiastica della Chiesa. Ma questo è impossibile salvo che la Chiesa stessa abbia fallito a propagare autenticamente il Deposito della Fede nella tradizione ecclesiastica. E poiché il Rito Romano stesso è una forma scritta della tradizione ecclesiastica, è impossibile capire come bisogna rivedersi senza violare il quarto anathema del secondo Concilio di Nicea, con il disprezzare o rifiutare la tradizione ecclesiastica, sia scritta che non scritta, nella misura in cui la definizione di disprezzare è posizionare al prezzo più basso, quindi mettersi in un posto superiore dal quale poterla svalutare e criticare o, in altre parole, rivedere e aggiornarsi.

       Il terzo principio, citato nel quattordicesimo paragrafo del documento, riflette la definizione nuova di verità proposta dalla Nuova Teologia, cioè che la verità deve conformarsi alla vita, e quindi il culto della Verità alla vita dei credenti, che non si può fare senza l'adeguamento e quindi l'adattamento della liturgia alle energie attive (cioè alla vita) dei partecipanti. Dalle traduzioni vernacolari dei documenti pubblicati al Website del Vaticano, non è tutto chiaro se "Essa infatti è la prima e indispensabile fonte…" si riferisce alla partecipazione o alla liturgia, ma se è riferita alla prima essa sarebbe un'altra conferma della visione distorta del documento, poiché sono i Sacramenti stessi, "strumenti della Divina Misericordia" (S. Tommaso, IV Sent., q. 1, a. 4), che sono la fonte principale della vita cristiana nella Chiesa.

 


La ecclesiologia sbagliata alla radice dell'intransigenza post-conciliare

       Dall'errore fondamentale della Nuova Teologia è derivato alla ecclesiologia un errore corrispondente che è assai diffuso nella Gerarchia attuale. Monsignor Calkins lo indica, senza conoscerlo, nella sua citazione di P. de Lubac: "La Chiesa che chiamiamo Madre non è una Chiesa ideale o non-reale, ma questa stessa Chiesa gerarchica; non la Chiesa della quale possiamo sognare un futuro, ma la Chiesa come esiste nella realtà, qui e ora." (The Spendor of the Church, Paulist Press, 1963, p. 161).

       Questo errore sta alla radice dell'intransigenza del partito conciliare nella Chiesa d'oggi, ed è il perché essi non possono neanche capire che si sono incamminanti per un sentiero che porta alla perdizione tremenda di tanti membri della Chiesa e dei tanti aspetti della vita ecclesiastica della Chiesa. Questo errore consiste nel fare dell'identificazione falsa il punto focale di fedeltà di ogni cattolico alla Chiesa come Essa esiste di fatto, qui e ora, come disse P. de Lubac. No! il punto focale della fedeltà di ogni cattolico è la Chiesa, esistente adesso, come Cristo la volle che fosse. C'è una vasta differenza tra queste due tesi. La prima mette in equazione la realtà attuale della Chiesa con la verità, seguendo la definizione di verità proposta dai neo-modernisti, citata nell'articolo di P. Garrigou-Lagrange O.P.: "ma invece verità è sempre nello stato del divenire e consiste in una corrispondenza progressiva dell'intelletto con la vita". La seconda, la definizione più conforme alla Fede Cattolica, definisce la Chiesa vera non formalmente come Essa è nel presente, nella storia, ma esistenzialmente come Essa è nella storia e formalmente come Cristo la volle che fosse. Gli errori conseguenti alla nuova definizione di P. de Lubac riguardo al punto cruciale della fedeltà di ogni cattolico sono chiari: se la nostra lealtà è alla Chiesa come Essa è qui e ora, con tutto il suo vigore e la sua debolezza, poi siamo non leali precisamente quando raccomandiamo la restaurazione autentica di tutto ciò che non mai si dovesse perdere o sopprimere. E quindi qualsiasi critica alla disciplina ingiusta o insipiente, anche alla più dannosa alla Chiesa d'oggi sarebbe, secondo questa definizione sbagliata, un'opera di infedeltà alla Chiesa.

       Forse questa definizione è il motivo per cui Monsignore Calkins, tanto consapevole degli abusi liturgici e di abusi assai diffussi e gravi del clero e dei religiosi e della disfunzione della Chiesa d'oggi, si sente costretto a intitolare il suo discorso "Stendere e solidificare la continuità". Precisamente perché la Chiesa di oggi, come Essa esiste, con le cose buone e cattive, è il locus di fedeltà, che accetta questa nuova definizione del punto focale di fedeltà cattolica, deve necessariamente negare la discontinuità, il distacco della Chiesa nei suoi membri e l'instabilità in quasi tutte le istituzioni ecclesiastiche.

   



La via verso la restaurazione

       Non ho mai incontrato uno di quelli che Monsignor Calkins chiama fanatici, che vogliono ripristinare l'uso dei libri liturgici del 1962 a qualsiasi costo. Conosco invece molti aggiornamentisti che vogliono rinnovare la Chiesa secondo i principi modernisti a qualsiasi costo. Ma non li chiamo fanatici: sono solo persone cattive e maledette.

       La via alla Restaurazione della Chiesa è quella della restaurazione, prima nelle menti e nei cuori della Gerarchia, dell'accettazione pratica delle dottrine definite dai Concili Ecumenici, specialmente quelli di Nicea II e di Trento. Nel quarto anathema del secondo concilio di Nicea, del 787, la Chiesa ha insegnato infallibilmente: Se qualcuno disprezza o rifiuta la tradizione ecclesiastica, sia scritta che non scritta, anathema sit.

       Questo vuol dire che la Chiesa non può, e nessun membro di Essa può, sedere in giudizio contro le liturgie tradizionali della Chiesa, né toglierle o alienarle dalla vita della Chiesa, né rivederle secondo qualsiasi principio che sia più corretto. Invece è la Chiesa che è soggetta ai riti tradizionali e che deve sempre accettarli e venerarli e permetterne l'uso.

       Il Concilio di Trento nella sua sessione settima, canone 13, dichiarò: "Se qualcuno dice, che i riti ricevuti e approvati dalla Chiesa cattolica, soliti a utilizzarsi nell'amministrazione solenne dei Sacramenti, si possano disprezzare o senza peccato essere omessi dai ministri, a loro piacimento, o essere mutati da qualsiasi pastore della Chiesa in nuovi altri, anathema sit."

       Questo, riguardo alla liturgia è una riaffermazione e estensione del quarto anathema del Nicea II. Dicendo qualsiasi pastore della Chiesa [per quemcumque pastorem ecclesiarum] esso vieta contro i riti della Chiesa come esistevano al tempo di Trento anche l'azione del Pontefice Romano, pure se fosse confermata da un concilio ecumenico. Questo anathema spiega il perché il Rito Romano era preservato integralmente fino dal concilio di Trento e il perché nessun pontefice romano, sino al Papa Pio XII, aveva avuto la temeraria audacia di mutare il Missale Romanum.

       Quando le dottrine infallibili e irreformabili della Chiesa diverranno di nuovo la norma di verità per la Gerarchia, soppiantando l'accettazione diffusa della nuova definizione della verità proposta dalla Nuova Teologia, la Chiesa sarà sulla strada dello sradicamento degli errori del Vaticano II e delle loro implementazioni post-conciliari. Però non succederà fra poco, fintantoché i nuovi teologi, come il Cardinale de Lubac e Hans urs von Balthasar, saranno lodati e onorati, specialmente dal nostro Santo Padre e dal prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

 


Conclusione

       Credo che la Restaurazione verrà solamente con una nuova generazione di chierici che non siano promossi per la loro partecipazione alla implementazione degli errori del Concilio a qualsiasi costo, ma che siano inspirati da una vera pietà filiale verso la Chiesa vera, esistente adesso, ma come Cristo la volle che fosse, e inspirati da un'accettazione autentica dei principi cattolici tanto accuratamente e brevemente rivendicati dalle infallibili definizioni dogmatiche dei Concili Ecumenici e mediante un Pontefice Romano con virtù e fede tali da condannare esplicitamente gli errori alla radice della crisi conciliare.

       Fino ad allora, dobbiamo pregare molto, fare molta penitenza e dare migliore esempio di carità e fedeltà verso la Verità Divina.

Discipulus Ecclesiae Romanae - I

   

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