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GHEDDAFI È UN BEDUINO, NON UN CRETINO
di Giovanni Petrosillo

Segnalato da: Litle Jo
Fonte: http://www.Talentilucani.it

Grassetti, colori, parentesi quadre, sottolineature, corsivi
e quanto scritto nello spazio giallo sono gen
eralmente della Redazione
       Gheddafi è un beduino, non un cretino.
       Non è nemmeno un coniglio ammaestrato del classico circo(lo) atlantico dei roditori bensì un leone libero del deserto africano.
       Non una scimmia in gabbia alla quale lanciare noccioline per divertirsi ma una belva in tenda da trattare con riguardo per non rischiare di essere aggrediti.
       Non è una testa di turco debole e servizievole ma una criniera maestosa della Sirte che ha preso il potere ruggendo e graffiando nel 1969 e che lo difenderà con le unghie e con i denti nel 2011. C’è da giurarci.
 
        Il Colonnello non è un fantoccio messo lì da potenze coloniali interessate a sfruttare le risorse del Paese nordafricano ed arricchirsi a spese della popolazione, come accade in quasi tutto il continente da tempo immemorabile.
       Non è Ben Alì, nè Alì Babà coi quaranta ladroni.
       Egli è piuttosto l'espressione di una reazione nazionalistica a quel giogo che voleva fare della sua patria una zona a sovranità limitata, è il capo di una rivoluzione che col tempo ha tradito alcuni dei suoi principi ma ha raggiunto ugualmente molti dei suoi obiettivi.
   
        Del resto, quale rivoluzione ha mai rispecchiato fedelmente il suo disegno astratto ? Poiché non esiste una corrispondenza perfetta tra i progetti che gli uomini costruiscono nella loro testa e la forma effettiva che questi stessi piani prendono nella realtà, si devono valutare i risvolti positivi o negativi che ogni trasformazione produce sulla vita concreta. Si chiama eterogenesi dei fini. Ci sarà sempre uno scarto tra utopia che muove le coscienze e concreti rapporti materiali che forgiano la Storia.
   
        Quando, tuttavia, i vantaggi di determinate azioni si rivelano superiori ai danni,
       quando la modificazione degli assetti sociali crea delle forti basi di consenso e di condivisione che assicurano la gestione del potere e un minimo d'ordine collettivo,
       quando le distanze tra ricchi e poveri non sono incolmabili ed intollerabili,
       quando si segue una strada che crea sviluppo e ricchezza, almeno relativi (ricordiamo che la Libia è tra i paesi africani col reddito pro-capite più alto e infrastrutture molto moderne), in contesti di per sé sfavorevoli,
       quando lo Stato riesce a proteggere sé stesso e i suoi cittadini dagli attacchi esterni e dalle quinte colonne interne,
       vuol dire che c’è qualcosa per cui vale la pena lottare, qualcosa che si deve preservare anche a costo di far scorrere il sangue.
   
        Infatti, le recenti contestazioni al Rais non si possono definire spontanee e sono entrate in Libia dal confine egiziano, trascinate da quel malcontento che sta toccando tutta la dorsale mediterranea per motivazioni che vanno al di là della semplice mancanza di pane e di libertà.
       Ma, come ha scritto il giornalista Marcello Foa “Non è un mistero che le rivolte sono state ampiamente incoraggiate –e per molti versi preparate– dal governo americano... Da qualche tempo Washington riteneva inevitabile l’esplosione del malcontento popolare e temendo che a guidare la rivolta potessero essere estremisti islamici o gruppi oltranzisti, ha proceduto a quella che appare come un’esplosione controllata, perlomeno in Egitto e in Tunisia".
       Sono della stessa opinione e queste giornate libiche dimostrano più che mai che gli americani, dopo aver riscontrato successi forse insperati, tentano persino di fare il filotto.
       Ad ogni modo, Gheddafi non è un loro uomo, contrariamente ai Presidenti egiziano e tunisino, per questo non si farà da parte senza opporre una strenua resistenza, forse giungendo all'estremo sacrificio personale.
       Il Colonnello si batterà fino alla fine, non si dimetterà né la lascerà di notte, come un topo spaventato in cerca di una tana, lo Stato che dirige.
   
        Muammar non ha nulla in comune con i faraoni d’Egitto né con i burattini tunisini incoronati e deposti dagli eserciti stranieri dai quali sono dipese loro fortune e sventure.
       Porta la testa fasciata per tradizione e non perché qualcuno gliel’ha rotta al fine di convincerlo all’obbedienza e alla soggezione.
       Gheddafi non è mai stato una marionetta anche se spesso ha assunto le movenze di un buffone facendo sfigurare più gli altri che sé stesso, egli ha governato la nazione con degli ideali, dal socialismo al panafricanismo, elaborando una propria visione del mondo e del ruolo che la Libia doveva giocare tra le grandi potenze del XX e del XXI secolo.
       Se questo è il comportamento di un saltimbanco chissà cosa dovremmo pensare dei nostri governanti costantemente ligi all'etichetta ma perennemente a corto di pensieri.
   
        Ora che il leader libico si trova in difficoltà anche chi si è finto suo alleato ed ha tollerato i suoi eccessi lo sta scaricando senza remore.
       E noi italiani come al solito rischiamo di fare la figura più meschina e nauseabonda.
       Negli ultimi anni abbiamo coltivato con Tripoli interessi comuni che si sono rivelati strategici per le nostre ambizioni regionali, politiche ed economiche.
       Abbiamo creato scompiglio sulla scacchiera internazionale grazie alla benevolenza del Colonnello ed i nostri partner esteri ce l’hanno spesso rinfacciato.
       Gheddafi era forse un amico scomodo ma ci aveva aperto una porta centrale sul mediterraneo.
       Da questa soglia avrebbero voluto passare anche americani, inglesi, francesi ecc. ecc. ma per loro c'era al massimo l'uscio di servizio.
   
        Questa entrata ora si sta chiudendo mentre noi disquisiamo sull’opportunità di certe frequentazioni. Anzi, le forze politiche di destra, artefici delle rinnovate relazioni con la Libia si vergognano dei loro medesimi passi da gigante e preferiscono fare spallucce da nanetti, mentre quelle di sinistra, sempre ignoranti come le capre di montagna, belano in piazza contro i dittatori e si servono della crisi internazionale in corso per sferrare l’ennesimo colpo a Berlusconi.
       Se Gheddafi cade non ci sarà più nessuno a garantire i nostri affari in quei luoghi e chi prenderà il suo posto non ci riserverà il riguardo di cui godiamo in questo momento. I precedenti rapporti privilegiati verranno messi in discussione e ad approfittarne saranno le altre potenze occidentali finora tenute in disparte.
   
        Invece di precipitarci in soccorso di quella gente per spegnere l'incendio che la sta mettendo in ginocchio ci siamo schierati con i piromani che hanno appiccato il fuoco.
       Facciamo davvero pena, sia come pompieri che come buoni vicini.

Giovanni Petrosillo

   
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