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IstvÀn SandÒr, martire ungherese
Salesiano coadiutore e martire


di Giancarlo Manieri

Fonte: Bollettino Salesiano, Anno CXXX, n. 9,  ottobre 2006
Segnalato da: Centro studi Giuseppe Federici

       Nell'approssimarsi del 50° anniversario della rivoluzione ungherese contro il disumano e barbaro regime comunista, pensiamo che sia opportuno ricordare una delle tante vittime del comunismo: il martire cattolico Istvàn Sandòr.
       Anche se oggi è diventato obbligatorio non dir male dei comunisti e del comunismo.        Anche se i comunisti sfoggiano la patente di democratici, come se tale livrea potesse garantire onestà, rettitudine, purezza...
       Qualche illuso pensa che il comunismo sia ormai finito e non vede che le leggi oggi vigenti sono comuniste, non vede che tutta la vita del mondo d'oggi è comunista: aborto, divorzio, mancanza della famiglia, droga, eutanasia, incertezza assoluta del posto di lavoro (contrabbandata come la grande conquista della "mobilità del lavoro"), incertezza del futuro...
       L'ungherese István Sandór è stato martirizzato dai comunisti, appena alcuni anni fa!
       Né d'altronde dobbiamo essere semplicisti e pensare che, se il comunismo (russo) è brutto e cattivo, il liberalismo (americano) è bello e buono.
Ricordiamoci che il comunismo è figlio del liberalismo, che gli americani hanno sempre aiutato i russi, che Wall Street ha finanziato la rivoluzione sovietica... Insomma gli uni non sono peggiori degli altri.

La Redazione

Grassetti, colori, parentesi quadre, sottolineature, corsivi
e quanto scritto nello spazio giallo sono generalmente della Redazione

       Il profilo del salesiano laico István Sandór, ungherese, impiccato dagli stalinisti. La vita normale di un religioso laico, obbediente ai superiori, coraggiosamente dedito alla missione, improvvisamente illuminato dal martirio
       È nato nella terra gloriosa degli Ungari, magiaro egli stesso, con il medesimo nome del duca István cui papa Silvestro verso il 1000 conferì il titolo di re d’Ungheria, dopo che si fu convertito al cristianesimo. Figlio di un popolo fiero, che mai s’è piegato del tutto alle prepotenze degli invasori: né agli ottomani, né agli Asburgo, né ai nazisti e nemmeno ai comunisti di Josif Vissarionovich Dzugasvili, detto Stalin (che significa uomo d’acciaio). Ha sempre brigato o lottato apertamente per la propria indipendenza, contro tutto e contro tutti. Sandór aveva il sangue dei suoi avi: visse in anni difficili quando i rivolgimenti, gli attacchi improvvisi dei nemici, i voltafaccia dei governanti, le alleanze sbagliate, le guerre fredde e combattute, gli attentati, i capovolgimenti di fronte erano all’ordine del giorno.

   
TRATTI ANAGRAFICI
       István nacque da un ferroviere e una casalinga di solidissimi principi morali, praticanti un cristianesimo non di facciata ma profondamente sentito e vissuto. Stefano (il padre) e Maria Fechete (la madre) allevarono tre figli: Stefano, Giovanni e Ladislao. La scuola, i giochi, lo studio fecero loro trascorrere una giovinezza serena e normalissima corroborata, per Stefano (István in ungherese), da un carattere felice e altruista che lo spingeva ad aiutare i compagni in difficoltà, a trattenerli con giochi, racconti, piccole recite, passeggiate, ecc. Un mènage quotidiano che a coloro che hanno iniziato a raccoglierne le memorie richiamava quello di Giovannino Bosco. Fu chierichetto e paggetto del Sacro Cuore con i padri francescani di Szolnok, suo paese natale. Furono proprio loro, notando le sorprendenti attitudini del ragazzo, a consigliargli di entrare a far parte dei salesiani: la sua irresistibile voglia di dedicarsi ai giovani, di radunarli, di intrattenerli con recite canti e racconti, di farli giocare, insomma di educarli, convinse i bravi frati francescani a dirottare quella vocazione “sicura” verso i salesiani di Don Bosco.

 
IL BOLLETTINO SALESIANO
       István li prese sul serio quei consigli perché era un giovane serio. E volle informarsi bene sulle persone che avrebbero potuto costituire la sua futura famiglia. Non trovò di meglio che il Bollettino Salesiano. Lo leggeva tutto, con interesse sempre maggiore. Da quella rivista apprese di Don Bosco e delle sue incredibili imprese, tanto quanto di quelle dei suoi figli; poté apprezzare il suo metodo, sorprendersi del suo impegno costante e totale per la salvezza dei giovani, meravigliarsi del suo donarsi con gioia sacrificata ai più poveri e bisognosi. Capì che non era il suo ideale continuare a fare l’operaio delle ferrovie, come suo padre, ciò che da qualche tempo aveva iniziato a fare. Don Bosco era una calamita… lo attirava sempre di più e sempre più invincibilmente finché riuscì a strappare il permesso ai genitori, dando così una sterzata ad U alla sua vita: nel febbraio del 1936 entrava per il periodo di aspirantato nella scuola tipografica del municipio di Rácospalota, e i salesiani se ne entusiasmarono subito: era un giovane-capolavoro, tant’è che solo un mese dopo fu ammesso al noviziato. Ma… fecero i conti senza l’oste, come si dice. István fu ripetutamente chiamato sotto le armi fino al 1941. S’annunciavano tempi bui per la sua patria. Riuscì a fare il noviziato ma subito dopo dovette vestire la divisa del soldato, suo malgrado. Fu anche per qualche tempo prigioniero degli americani in Germania, i quali nel 1945 lo rimandarono a casa.

   
I TEMPI BUI
       L’esperienza militare non aveva scosso le sue convinzioni, queste se mai, erano riuscite rafforzate: Stefano aveva fatto il salesiano anche sotto le armi: amico sincero dei suoi commilitoni, pronto al servizio, disponibile al colloquio, soprattutto spirituale: da allora la trincea divenne il suo oratorio. Ebbe anche parecchie decorazioni al valore. Quando tornò a Rácospalota, divenne maestro di tipografia, capo del piccolo clero nel santuario del Sacro Cuore, e assistente all’oratorio fino alla forzata nazionalizzazione delle scuole. Quando lo Stato nel 1949, sotto Mátyás Rákosi, incamerò i beni ecclesiastici, Sandór cercò di salvare il salvabile, almeno qualche macchina tipografica e qualcosa dell’arredamento che tanti sacrifici era costato. Di colpo i religiosi si ritrovarono senza più nulla, tutto era diventato dello Stato: l’occhio del Grande Fratello sorvegliava e dirigeva ogni cosa. Addio libertà. Lo stalinismo di Rákosi continuò ad accanirsi: i religiosi vennero dispersi. Senza più casa, lavoro, comunità, molti si ridussero allo stato di clandestini. Travestiti e trasformati, si adattarono a fare di tutto: spazzini, contadini, manovali, facchini, servitori… Anche István dovette sparire, lasciando la sua tipografia che era diventata famosa. Colto sul fatto (stava cercando di salvare delle macchine tipografiche), dovette fuggire in fretta e rimanere nascosto per alcuni mesi, poi, sotto altro nome, riuscì a farsi assumere in una fabbrica di detergenti della capitale, ma continuò impavido e clandestinamente il suo apostolato, pur sapendo che era attività rigorosamente proibita.

   
LA FINE
       Un brutto giorno di metà luglio la polizia politica lo prelevò nella fabbrica dove lavorava. Lo trasferirono in prigione, e nessuno lo vide più. Esiste solo un documento ufficiale che parla di un processo e della sua condanna a morte. István venne impiccato la sera dell’8 giugno 1953. Solo dopo il 1990 hanno comunicato la sua esecuzione ma il luogo della sepoltura nessuno lo conosce.

   
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