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«Mao, il più grande criminale della storia»
Il leader uccise settanta milioni di persone. Una scrittrice cinese e un professore inglese hanno raccolto documenti inediti. Una biografia distrugge il mito del Grande Timoniere: «Fece la Lunga Marcia in portantina».

di Maurizio Molinari

Segnalato da Maurizio Ruggiero
Fonte: La Stampa – 24 ottobre 2005, p. 9

Grassetti, colori, parentesi quadre, sottolineature
e quanto scritto nello spazio giallo sono della Redazione

      «Mao Tse-Tung, che per decadi esercitò un potere assoluto sulla vita di un quarto della popolazione mondiale, fu responsabile della morte di 70 milioni di persone, più di ogni altro leader del XX secolo». Inizia così «Mao, la storia sconosciuta», una monumentale biografia di 810 pagine che fa a pezzi il mito del leader della rivoluzione cinese descrivendolo come un tiranno peggiore di Hilter e Stalin.
      La scrittrice cinese Jung Chang –ex Guardia Rossa ed operaia metallurgica emigrata in Gran Bretagna nel 1978– e il marito, l'accademico britannico Jon Halliday per dieci anni hanno raccolto testimonianze dirette e documenti inediti scontrandosi al momento della pubblicazione con la censura di Pechino e quindi scegliendo i tipi della Alfred Knopf di New York per far arrivare nelle librerie il frutto delle ricerche.
      Documentando, testimonianza per testimonianza, ogni affermazione Chang e Halliday fanno rivelazioni a pioggia. Il partito comunista cinese non nacque nel 1921 - come generalmente si ritiene - ma un anno prima ed a fondarlo non fu Mao bensì due agenti dei servizi segreti sovietici: un russo di nome Nikolsky ed un olandese chiamato Maring, che aveva dimostrato affidabilità a Mosca come agitatore nelle Antille Olandesi. Alla prima riunione parteciparono tredici persone, nessuna era un contadino, ed il baffuto Maring fece il discorso principale, parlanndo per diverse ore, sempre in inglese. In quella fase iniziale il 94 per cento del bilancio del Pcc arrivava da Mosca e Mao riuscì a farsi spazio presentandosi al Cremlino come il più ossequioso dei servitori, arrivando a scrivere un telegramma che recitava: «L'ultimo ordine ricevuto dal Comintern era così straordinario che mi ha fatto saltare di gioia per 300 volte».
      Celebrato dalla mitologia ufficiale cinese come un grande leader dei contadini ed un superbo stratega militare, Mao emerge piuttosto come un tiranno spietato. Nelle lettere inedite scoperte negli anni Novanta, la seconda moglie Yang Kaihui –uccisa da un rivale politico nel 1930– si lamentava per la brutalità del marito. «Sono stanca di sentir sempre dire "uccidere, uccidere, uccidere"".
      A temerlo di più erano i soldati dell'Esercito popolare perché un quarto di loro –secondo i documenti citati–  venne massacrato durante il maoismo, spesso usando come metodo di eliminazione l'inserimento di barre incandescenti nel retto. Durante la Lunga Marcia, iniziata non per mobilitare le masse ma in quanto il generale nazionalista Chiang Kai-shek spinse i comunisti a intervenire nelle province ribelli del sud-est dove aveva timore di mandare i propri soldati, Mao quasi mai camminò a piedi facendosi piuttosto portare a spalla su un'apposita lettiga fatta con legni di bambù. Mao stesso lo raccontò dicendo che «durante la Lunga Marcia stavo steso su una lettiga e leggevo, leggevo molto». I portatori erano contadini che quando si trovavano a scalare le montagne dovevano procedere sulla neve muovendosi sulle ginocchia e lasciando spesso la propria carne sul terreno. Una delle più note battaglie della Lunga Marcia avvenne sul ponte Dadu con un attacco suicida che costò la vita a molti comunisti ma gli autori citano prove relative a tutti i 22 protagonisti di quell'attacco, affermando che nessuno venne ferito mentre tutti ebbero in premio medaglie dell'Ordine di Lenin.

 

 

      Costantemente girato verso Mosca, Mao vide con favore il patto di non aggressione nazi-sovietico del 1939 augurandosi per la Cina la sorte della Polonia ovvero la spartizione a seguito di un'invasione di Stalin da cui contava di uscire trionfatore. A Seconda Guerra Mondiale finita Mao spinse la Corea del Nord ad attaccare il Sud e la scelta di inviare i propri militari al fronte nel 1952 si dovette da un lato alla volontà di decimare i reparti ancora di fede nazionalista e dall'altro ad un baratto con Mosca: in cambio dei soldati cinesi morti combattendo gli americani Mosca avrebbe fornito a Pechino aiuti in tecnologia. Negli anni Cinquanta iniziò a teorizzare la carestia di massa, ovvero la più grande strage del Novecento. Voleva educare i contadini a mangiare di meno per risparmiare risorse: se ogni cinese consumava 200 kg di grano l'anno Mao era convinto che 140 kg erano ben più che sufficienti ed in alcuni casi ne sarebbero bastati appena 110 kg. Durante una visita a Mosca offrì il sacrificio delle vite di 300 milioni di cinesi in nome del comune sviluppo socialista e nel 1958 ammise che «metà della popolazione può morire» a causa dei lavori imposti dal Grande Balzo in Avanti. Nei quattro anni seguenti circa 100 milioni di contadini furono obbligati a costruire un complesso di dighe, riserve idriche e canali artificiali scavando una quantità di terra pari a 950 volte quella necessaria per la realizzazione del Canale di Suez.
       Ed adoperando sempre e solo picconi, vanghe e martelli. La rivoluzione culturale avrebbe aggiunto al terrore il caos. Quando il 16 ottobre del 1964 Pechino riuscì a far esplodere la prima atomica Mao gioì al punto da comporre una poesia autografa: «La bomba atomica esplode quando le viene chiesto, che gioia infinita!». A tutto questo vi sono da aggiungere le congratulazioni a Pol Pot per lo sterminio dei contadini cambogiani, i finanziamenti a Fidel Castro, all'Albania di Enver Hoxa ed alle guerriglie in Africa, l'abbandono del Che Guevara ritenuto un rivale in popolarità, la repressione con ventimila soldati in Tibet contro i monaci del Dalai Lama e i flirt accennati in pubblico con Imelda Marcos, moglie del dittatore filippino.
      Nelle ultime pagine gli autori smontano anche la tesi che l'ultima moglie Jiang Qing lo avesse «manipolato» e descrivono invece con minuzia di dettagli la scelta di Mao di non curare Zhou Enlai all'inizio degli anni Settanta –quando si scoprì che aveva un tumore– per evitare che potesse sopravvivergli diventandone l'erede. L'epilogo del volume è in poche righe: «Il ritratto e la salma di Mao ancora dominano la Piazza Tiananmen nel cuore della capitale cinese, l'attuale regime comunista si dichiara erede di Mao e ne perpetua con fierezza il mito».

Maurizio Molinari

 
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