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INVITO ALLA LETTURA

"Prima che il mar sia sopra noi richiuso"

       Caro lettore,
certamente tra la fine del 2001 e i primi mesi del 2002 hai sentito parlare del "mandato d'arresto europeo", ma quasi altrettanto certamente appartieni a quella stragrande maggioranza degli italiani, anzi degli europei che, senza soffermarvisi, hanno dimenticato il tema quasi fosse superato dalle incalzanti notizie della cronaca.
       Eppure quel tema è attualissimo e di enorme importanza: esso mette in gioco la libertà non solo morale, ma anche fisica dei cittadini di tutti gli Stati dell'Unione Europea, e quindi anche la tua. Certamente quella legge se, come tutto lascia presagire, entrerà in vigore, cambierà profondamente la tua vita, forse la travolgerà.
       Vale dunque la pena di sforzarsi a leggere queste pagine, scrivendo le quali abbiamo usato ogni cura per renderle accessibili anche a chi è del tutto digiuno di diritto.
       Se tu poi, che hai preso in mano questo libro, sei un politico o un uomo di legge, questo invito alla lettura è per te tanto più pressante: te ne renderai conto anche solo scorrendo nell'indice i titoli dei capitoli. Leggi e poi, se credi, dissenti, ma l'approfondimento dell'argomento è per te un dovere
oltreché, ne sono certo, una necessità. E se poi tu non concordi con la (a tratti evidente) Weltanschauung cattolica dell'autore di queste pagine, cogline comunque l'aspetto anche laicamente condivisibile da parte di chi coltivi ancora ideali di libertà.
       Ben più di mille altre persone avrebbero avuto più titolo e, non esito a dirlo, più obbligo dell'autore di queste pagine di trattare e illustrare diffusamente la questione, ma, per quanto ci risulta, uno solo, almeno in Italia, lo ha fatto, in un libro che non ha certo avuto l'eco che meritava1. Anche questo silenzio è per noi motivo di estrema preoccupazione.

AVVERTENZA. Poiché l'argomento specifico di questo studio è il cosiddetto "mandato d'arresto europeo", quando, nel corso di esso, ci riferiremo alle istituzioni dell'Unione Europea, non terremo conto delle loro trasformazioni successive alla proposta di decisione quadro che lo introduce. In particolare prescinderemo dalla nascente "costituzione" dell'Unione Europea. Se ne aspettassimo la definitiva approvazione dovremmo rinviare ancora la già tardiva redazione di uno studio che si sforza di contribuire a colmare un vuoto che è per noi motivo di profonda angoscia.
Aggiungiamo che la nostra analisi critica non investe, e non può investire se non marginalmente, i grandi temi della filosofia del diritto, e in particolare l'importantissimo argomento dei rapporti fra legge divina, legge naturale e legge umana, e dei limiti in cui quest'ultima può eventualmente prescindere dalle altre due. Essa prende come punti di riferimento i concetti di libertà e di diritto oggi pressoché universalmente accettati ed espressi nelle costituzioni e nei codici penali dei paesi occidentali, in particolare dell'Italia.


1 Mario Spataro, "Il bavaglio europeista - Come l'Europa uccide la libertà", Ed. "Il Settimo Sigillo", Roma, 2002.


PREFAZIONE

       La polemica mass-mediatica sulla isolata resistenza del governo italiano alla proposta di leggedel Consiglio dell'Unione europea che quell'organo ha presentato sotto il sommario titolo di "decisionequadro relativa al mandato di arresto europeo", appare largamente riduttiva, manipolatoria efuorviante. Tale resistenza, infatti, è stata ascritta principalmente, se non esclusivamente, alla preoccupazionedell'attuale Presidente del Consiglio dei Ministri, on. Silvio Berlusconi, di poter venireprocessato da qualche tribunale europeo per i suoi precorsi intrallazzi politico-finanziarî.
       Questa inconfessabile preoccupazione avrebbe indotto lo stesso Berlusconi e i suoi alleati ad ostacolare un'importante tappa del provvidenziale processo di unificazione dell'Europa per motivibassamente personali e partitici.
       Evidentemente non è questo il modo corretto di affrontare l'argomento. Invero, pur non escludendo che considerazioni siffatte possano aver avuto un loro peso nell'atteggiamento del governo italiano, ciò che è necessario fare prima di esprimere un giudizio su una riforma legislativa - la cui portata, come il più sprovveduto dei giuristi, dovrebbe capire dal suo stesso titolo, è vastissima - è prendere conoscenza dei contenuti e valutarne gli effetti. Sentenziare per sentito dire e senza alcuna cognizione di causa significa abdicare all'uso del proprio cervello.
       Per rendere agevolmente comprensibile questa trattazione, la suddividiamo in tre sezioni. La prima sommariamente descrittiva del sistema penale vigente nelle parti che vengono rivoluzionate dalla proposta di legge comunitaria, la seconda illustrativa del contenuto di detta "proposta" e la terza, di gran lunga la più estesa, dedicata a commenti e considerazioni. Con avvertenza che già la lettura delle due prime brevissime sezioni dà un'idea dei termini fondamentali della questione e della gravità della posta in gioco. Peraltro la terza sezione ci è parsa indispensabile sia per meglio sviluppare gli argomenti affrontati nella seconda, sia per collocare la proposta nel contesto ideale e storico in cui ha potuto nascere. Essa aiuta a comprendere, almeno in parte, la filosofia ed i possibili esiti di quel processo di unificazione dell'Europa che generalmente viene salutato con acritico entusiasmo, senza minimamente considerare la direzione che a tale processo è stata impressa e le vastissime problematiche ed implicazioni che ne derivano in campo giuridico, politico ed economico.

 

 

SEZIONE PRIMA

CENNI SULLA LEGISLAZIONE CHE ATTUALMENTE DISCIPLINA I PRINCIPALI SETTORI SOVVERTITI DALLA PROPOSTA DI DECISIONE QUADRO COMUNI-TARIA

I

L'INDIVIDUAZIONE DEL GIUDICE COMPETENTE A CONOSCERE DI UN REATO SECONDO LA LEGISLAZIONE ANCORA IN VIGORE

       Il primo tema da prendere in considerazione per comprendere la novità della proposta di decisione quadro comunitaria è quello dell'attuale normativa sulla individuazione del giudice competente a conoscere di una data imputazione. In questa nostra breve trattazione facciamo riferimento al diritto italiano. Con avvertenza, peraltro, che i principî che lo ispirano sono sostanzialmente analoghi a quelli che informano le legislazioni degli altri Stati dell'Unione Europea.
       Tra i varî criterî vigenti per l'individuazione del giudice competente a conoscere di un determinato reato, restringiamo poi la nostra indagine principalmente alla competenza per territorio, perché è quella che in linea principale viene sconvolta, o meglio travolta, dalla proposta di legge del Consiglio dell'Unione Europea.
       L'importanza che riveste ai fini della tutela della libertà e dell'onorabilità della persona il fatto che un cittadino sia eventualmente processato non già da un qualsiasi giudice dello Stato - che esercita le sue funzioni magari a mille chilometri di distanza dal luogo in cui si afferma sia stato commesso l'illecito penale - ma da un organo giudiziario determinato in base a criterî oggettivi e predeterminati, è tale da essere stato enunciato come cardine indefettibile del nostro sistema giudiziario dalla stessa Costituzione, il cui articolo 25, al primo comma, stabilisce che "nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito dalla legge".
       La ragione di questa norma è evidente: si vuole scongiurare il pericolo, o anche soltanto il sospetto, che un giudice possa attivarsi in relazione a una data persona e a un dato reato non già per dovere del proprio ufficio, ma per motivi personali di interesse, rancore o vendetta, ovvero per ragioni politiche o su pressioni di gruppi di potere.
       Il criterio fondamentale per individuare il giudice territorialmente competente è quello del luogo in cui il reato è stato consumato (articolo 8, 1° comma codice di procedura penale). L'importanza che il legislatore ascrive alla competenza per territorio è tale che la sua violazione, se tempestivamente eccepita, produce l'annullamento della sentenza ed è rilevabile in tutti e tre i gradi del giudizio previsti dal nostro ordinamento, e quindi fin davanti alla Corte di cassazione.
       Tutta l'articolazione della struttura giudiziaria dello Stato, suddivisa in tribunali e corti d'appello, è da sempre finalizzata a tutelare il principio della competenza, anche territoriale, considerato come una condizione indispensabile per una giustizia imparziale e affidabile.
       Del resto non è chi non veda quanto sarebbe sospetto e grave il fatto che l'azione penale per un reato, vero o presunto, ipoteticamente consumato a Torino fosse promossa dalla procura della repubblica di Reggio Calabria, o viceversa.
       Solo la Corte di cassazione ha competenza per l'intero territorio dello Stato. Ciò peraltro dipende dal fatto che la sua funzione principale è quella di controllare e tutelare in ultima, estrema istanza, la corretta applicazione da parte dei giudici procedenti dei principî giuridici che, in quanto tali, sono di ordine generale, contribuendo con le sue pronunce alla certezza del diritto. Tale certezza, invero, è un altro indispensabile presupposto di libertà e sicurezza del cittadino che deve sapere, o almeno poter sapere, rivolgendosi magari a un avvocato o a un commercialista, quali condotte siano permesse e quali proibite.
       L'importanza che a tutt'oggi si ascrive al rispetto del principio costituzionale in base al quale il cittadino ha diritto che il suo processo, penale o civile che sia, venga giudicato da quello che, come si è visto, la Costituzione chiama "il giudice naturale precostituito per legge", è tale che il Consiglio Superiore della Magistratura, andando ben al di là della disciplina dei codici, esige che all'inizio dell'anno i capi degli uffici giudiziarî predispongano delle tabelle da cui risultino criterî il più possibile automatici di assegnazione delle cause ai varî giudici cui sono preposti. Una simile rigidità ha i suoi non piccoli inconvenienti, perché spesso rende assai difficile per i presidenti delle corti di appello e dei tribunali e per i procuratori della Repubblica tenere adeguato conto sia delle attitudini e della preparazione, che dei carichi di lavoro dei singoli magistrati, su taluno dei quali, per puro caso, possono ricadere più procedimenti di grande impegno, mentre altri potrebbero cavarsela con un pari numero di processucoli di poco conto. Ciononostante si è ritenuto e si ritiene (ricordiamo da ultimo la circolare del 21.12.2001 del Consiglio Superiore della Magistratura) che questi pur eventualmente gravi inconvenienti debbano essere messi in conto pur di garantire il più possibile il principio di imparzialità del giudice, che non deve poter esser scelto dal capo dell'ufficio in base a criterî discrezionali che potrebbero dare adito a "manovre", o anche solo a sospetti di manovre.



II

L'ESTRADIZIONE OGGI
       L'altro argomento che è importante tener presente prima di passare alla disamina dei punti fondamentali della proposta di decisione quadro del Consiglio dell'Unione Europea è quello della attuale disciplina dell'estradizione, e cioè della consegna a uno stato estero di persona contro cui l'autorità giudiziaria del medesimo ha pronunciato sentenza di condanna o emesso altro provvedimento restrittivo della libertà personale.
       Trattasi di una procedura che il legislatore ha ritenuto di dover circondare di controlli e cautele per evitare il pericolo di rendersi cieco esecutore di provvedimenti ingiusti o comunque discutibili.
       Anche su questo delicato tema interviene anzitutto la Costituzione, che al suo articolo 26 stabilisce che l'estradizione del cittadino italiano "può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali" e comunque, sia per l'italiano che per lo straniero, mai "per reati politici" (vedasi anche l'art. 698 1° comma cod. proc. pen.).
       Senza scendere ad ulteriori particolari, irrilevanti ai nostri fini, è qui importante ricordare che, per quanto concerne gli Stati dell'Unione Europea, la materia in esame è regolata dalla Convenzione di estradizione, firmata a Parigi il 13 dicembre 1957, recepita dall'Italia con legge 30 gennaio 1963 nr. 300.
       Tale Convenzione, pur ampliando pericolosamente, come meglio vedremo fra breve, l'istituto dell'estradizione in ambito europeo, mantiene pur sempre dei consistenti limiti a tutela dell'imputato e del condannato dall'autorità giudiziaria di uno degli Stati che vi hanno aderito.
       Fermo, invero, restando in linea generale quanto si è detto sulla competenza del giudice italiano per i reati commessi nel territorio dello Stato, essa riprende il principio costituzionale secondo il quale ogni Parte contraente ha sempre "la facoltà di rifiutare l'estradizione dei propri cittadini" (art. 6, 1° comma) sebbene incriminati o condannati per illeciti consumati nel territorio dello Stato richiedente.
       Un altro importantissimo limite è che l'estradizione può essere concessa solo se il fatto cui la richiesta si riferisce è previsto come reato anche dalla legge dello Stato in cui si trova l'arrestato o il condannato (art. 2, 1° comma), e questo, si badi bene, pure nel caso che il fatto sia stato commesso da un cittadino dello Stato richiedente (arg. ex art. 1).
       Ciò non è ancora sufficiente: occorre infatti anche che le legislazioni di entrambi gli Stati coinvolti stabiliscano per la fattispecie in questione una pena restrittiva della libertà personale non inferiore, per entrambi, ad un minimo fissato (art. 2, 1° comma).
       Se poi la legislazione dello Stato che chiede la consegna dell'imputato o del condannato commina per il reato di cui trattasi la pena di morte, non contemplata, invece, almeno per tale reato, da quella dello Stato cui la richiesta è rivolta, l'estradizione potrà essere accordata solo a condizione che la Parte richiedente dia assicurazioni ritenute sufficienti dalla Parte richiesta che tale pena non sarà eseguita (art. 11).
       L'estradizione, inoltre, è subordinata (art. 14, 1° comma) alla condizione che la persona cui si riferisce non venga giudicata o sottoposta a restrizioni della libertà personale per fatti anteriori diversi da quello (o da quelli) per cui è concessa2.


2 Salvo due tassative eccezioni: 1) se vi sia il ponderato consenso dello Stato estradante e purché si tratti di un reato che
comporti l'obbligo di estradizione ai sensi della stessa Convenzione di Parigi; 2) se l'estradato, avendone avuta la possibilità,
non abbia lasciato il territorio dello stato richiedente l'estradizione entro 45 giorni dal rilascio, o vi sia tornato
dopo averlo lasciato.


       La ragione e l'importanza di quest'ultima limitazione sono evidenti: lo Stato che propone la domanda potrebbe avvalersi dell'estradizione ottenuta per un reato di scarsa gravità, per poi processare l'estradato, una volta giunto nel suo territorio, per un diverso reato precedente, eventualmente politico, e quindi anche di opinione, per il quale potrebbero essere previsti persino l'ergastolo o la pena di morte. La Convenzione, infatti, recepisce il principio costituzionale in base al quale "l'estradizione non sarà accordata se il reato per il quale è richiesta sia considerato dalla Parte richiesta come reato politico o come fatto connesso a reato di tale natura" (art. 3, 1° comma).
       È altresì escluso che la persona consegnata ad uno dei Paesi aderenti alla Convenzione possa poi essere da questo a sua volta estradata in altro Paese senza l'esplicito consenso dello Stato che ha concesso la prima estradizione. Ciò, naturalmente, sempre che si tratti di fatti anteriori all'estradizione stessa (art. 15).
       Una previsione molto importante nell'attuale momento storico, caratterizzato da una fiscalità particolarmente vorace, è quella concernente i reati in materia tributaria. Per essi l'estradizione - sempre subordinata alla condizione che il fatto sia considerato come reato anche dalla legge dello Stato cui l'estradizione è richiesta e con i limiti di pena di cui si è detto - può essere concessa solo se vi sia un esplicito accordo in tal senso "per ogni singolo reato o categoria di reati" (art. 5).
       Altro limite importantissimo: l'arresto della persona non condannata con sentenza irrevocabile è sempre subordinato ad una verifica dell'Autorità giudiziaria del Paese richiesto, che deve accertare se, secondo la legge di tale Paese, ricorrano i presupposti per una così grave misura (art. 22).
       La ricorrenza di queste condizioni, e di altre ancora che qui non elenchiamo, necessarie per l'estradizione, è valutata da una Corte d'appello italiana che di massima è quella del luogo di residenza del condannato o dell'imputato (art. 701, 4° comma codice procedura penale). A tale Corte debbono essere fatti pervenire per via diplomatica: a) "l'originale o la copia autentica sia della sentenza di condanna esecutiva, sia del mandato di cattura o di qualsiasi altro atto avente la stessa efficacia …"; b) "una esposizione dei fatti per i quali l'estradizione viene richiesta". In detta esposizione debbono essere "indicati con la massima possibile esattezza" "il tempo e il luogo della loro (dei fatti, N.d.A.) consumazione, la loro qualificazione giuridica e i riferimenti alle disposizioni di legge loro applicabili" che devono venire allegate in copia (art. 12 della Convenzione).
       La Corte investita del caso, "se le informazioni dalla parte richiedente si rivelino insufficienti", chiede "le informazioni complementari necessarie" eventualmente fissando un termine decorso vanamente il quale la domanda di estradizione non avrà seguito (art. 13 della Convenzione). In questa procedura l'imputato o il condannato è assistito da un difensore che, in caso di accoglimento della domanda di estradizione, può proporre ricorso per cassazione (art. 703, 704 e 706 cod. proc. penale).
       Una tutela a carattere più generale è prevista poi a livello legislativo e politico, nel senso che ogni Stato può recedere dalla Convenzione (art. 31) o comunque escludere dall'estradizione determinate categorie di reati (art. 2, 5° comma). È questo un punto più importante di quanto possa a prima vista sembrare perché da un lato fa salva la sovranità e libertà dello Stato, e con esse il potere di controllo del suo corpo elettorale, e dall'altra permette di intervenire e rimediare a eventuali abusi da parte di altri Stati.
       Giova aggiungere che, come si è accennato, la disciplina dell'estradizione nei confronti dei Paesi della Comunità Europea, amplia in maniera preoccupante quella prevista in linea generale - anche se convenzionalmente derogabile - dal codice di procedura penale. Quest'ultimo infatti, all'articolo 705, stabilisce che, finché non sia sopravvenuta sentenza irrevocabile di condanna, la concessione dell'estradizione è subordinata ad una valutazione della Corte di appello, che può concederla solo quando, con apposita sentenza, accerti che sussistono "gravi indizî di colpevolezza" È un'importante garanzia che il legislatore si è ritenuto in dovere di dare all'imputato straniero nel presupposto che, prima di attivare le proprie forze di polizia per privare della libertà una persona ospite del suo territorio, lo Stato italiano sia tenuto a delibare la fondatezza dell'accusa, anche per evitare di rendersi cieco strumento di persecuzioni politiche o di altro genere. Abbiamo parlato di cittadino straniero perché, come si è detto, per il cittadino italiano l'estradizione in linea di massima è esclusa.

 

 

SEZIONE SECONDA

LA PROPOSTA DI DECISIONE QUADRO EUROPEISTA E LE SUE NOVITÀ

I

LE DUE PRINCIPALI NOVITÀ:
       1) CHIUNQUE SI TROVA NEL TERRITORIO DELL'UNIO-NE EUROPEA PUÒ ESSERE ESTRADATO SU RICHIESTA DI UN QUALSIASI GIUDICE DI UN QUALUNQUE STATO MEM-BRO;
       2) QUESTO PRINCIPIO VALE ANCHE PER UN'AZIONE COMPIUTA NEL TERRITORIO DELLO STATO DI CUI L'E-STRADANDO È CITTADINO E CHE PER LA LEGGE DI TALE STATO È PERFETTAMENTE LECITA

       Così presentato a grandi linee l'attuale panorama legislativo in materia di competenza territoriale dell'Autorità giudiziaria e di estradizione, possiamo passare alla rassegna delle principali novità volute dal Consiglio dell'Unione Europea.
       A tale riguardo è istruttivo tener presente che il progetto che prendiamo in esame costituisce una linea arretrata e di compromesso rispetto ad un altro precedente e ancor più estensivo che aveva trovato resistenze da parte dei rappresentanti di alcuni Stati. Con avvertenza inoltre che i richiami alle pagine si riferiscono al quaderno redatto dalla Segreteria Generale della Camera dei Deputati italiana distribuito ai membri di quel ramo del Parlamento nazionale.
       La più sconvolgente di tali novità concerne quella competenza per territorio su cui ci siamo soffermati al capitolo I della prima sezione. In base ad essa chiunque potrà essere estradato su richiesta dell'autorità giudiziaria di uno qualsiasi degli Stati membri anche per fatti commessi nel territorio dello Stato di cui è cittadino (per brevità d'ora innanzi ci riferiremo il più delle volte specificamente all'Italia, ma il discorso, ovviamente, vale sempre per tutti i paesi membri). Viene così annichilita la garanzia prevista dal 1° comma dell'art. 25 della Costituzione e con essa vengono rottamate o svuotate di significato tutte le norme, le strutture giudiziarie, le cautele e le garanzie relative all'individuazione del "giudice naturale precostituito per legge" precedentemente illustrate. Paradossalmente le regole sulla competenza territoriale resterebbero in vigore all'interno dell'ordinamento, e quindi del territorio italiano, di talché per un reato commesso a Ragusa non potrei essere giudicato a Siracusa, ma potrei benissimo esserlo dal più remoto tribunale della Norvegia.
       Viene sconvolta anche la competenza per materia, graduata sulla gravità dei reati, nel senso che, ad esempio, l'imputato che in base alla legge italiana dovrebbe essere giudicato da una corte d'assise, o comunque da un giudice collegiale, con le maggiori garanzie che ne derivano, potrebbe venir pro-cessato e condannato con procedura sommaria in base alla legisla-zione dello Stato richiedente.
       La seconda novità in ordine di importanza che, combinata a quella testé illustrata, sconvolge, o meglio, travolge il sistema penale vigente - novità che il Consiglio dell'Unione Europea esalta come una grande conquista di civiltà giuridica (pag. 59) - è quella per cui, all'interno di ben 32 categorie di "reato" definite in termini di sconcertante ampiezza e genericità, e quindi capaci di abbracciare una serie indefinita e indefinibile di figure "criminose", viene soppressa senza possibilità di deroga la condizione per la quale (v. supra, sez. I, cap. II) l'estradizione può essere concessa solo se il fatto per cui è richiesta costituisca reato anche per la legge italiana: cosiddetto "principio della doppia punibilità"3. La soppressione di tale principio, è importante notarlo, è prevista in linea generale anche per tutti gli altri reati. Per essi, tuttavia, si consente agli Stati membri di derogare a tale novità, e quindi di mantenere in vigore il requisito della doppia punibilità (art. 2, 4° comma). Si tratta però di una deroga che la proposta contempla con palese sfavore, come espressione di una mentalità europeista non ancora sufficientemente matura. Ciò è dimostrato anche dal fatto che lo stesso art. 2, al suo terzo comma, prevede che il Consiglio "in qualsiasi momento, deliberando all'unanimità" possa "inserire altre categorie di reato" in aggiunta alle 32 di cui si è detto, mentre l'art. 25, al secondo comma, per aggirare l'ostacolo dell'unanimità richiesta dal detto articolo 2, stabilisce che l'aggiunta di tali nuove categorie di reato per le quali la deroga in questione non è ammessa, possa essere convenuta anche in accordi bi- o plurilaterali fra gli Stati membri.


3 La soppressione dei limiti di competenza territoriale risulta dall'articolo 4, 1° e 7° comma (in linguaggio europeistico "paragrafo") della proposta di decisione quadro, nel quale si stabilisce che lo Stato richiesto "può rifiutare di eseguire il mandato di arresto europeo" se esso "riguarda reati… commessi in tutto o in parte nel suo territorio" e comunque, ma solo a determinate condizioni, commessi "al di fuori del territorio dello Stato membro emittente". È evidente che se nei due casi così contemplati - e cioè mandato emesso da un giudice di uno Stato per reati commessi nel territorio dell'altro Stato cui chiede l'estradizione, e mandato emesso dal detto giudice per reati commessi nel territorio di uno Stato terzo, diverso sia da quello cui appartiene il giudice che lo ha spiccato sia da quello in cui l'estradando risiede - il detto mandato "può", ma solo può non essere applicato ( nel secondo caso, peraltro, solo a certe condizioni) se ne deve desumere che esso, in linea di massima è valido ed efficace in tutta l'area comunitaria. Quanto al principio della doppia punibilità, la sua abrogazione è enunciata nel 1° e 2° comma dell'articolo 2, in cui si legge che "il mandato di arresto europeo può essere emesso… indipendentemente dalla doppia incriminazione per il reato".
Sulla consistenza e le prospettive della possibilità di non dare esecuzione al mandato di arresto emesso al giudice di un altro Stato, rinviamo il lettore a quanto diremo al capitolo I della III sezione.


       Ci pare utile, a questo punto, addurre un esempio per chiarire a chi non abbia dimestichezza col diritto le allucinanti conseguenze di questi due capisaldi della "civiltà giuridica" propugnata dall'Europa unita:
       un Paese qualsiasi dell'Unione considera "specie animale protetta" di cui vieta il commercio (dodicesima delle ipotesi previste dall'articolo 2 per le quali l'estradizione non può quasi mai essere negata) le tartarughe palustri che in altri Stati, invece, sono liberamente vendibili o il cui traffico è, tutt'al più, punito con una semplice sanzione amministrativa. Ebbene, in virtù delle due citate novità (abbattimento dei limiti sulla competenza territoriale e soppressione del principio della doppia punibilità) il cittadino del secondo Stato che mette in vendita, si badi bene, in patria, esemplari di tali tartarughe potrà essere estradato su richiesta di un qualsiasi giudice del citato paese straniero.
       Il tutto con l'aggravante che, non essendo prevista una delibazione delle prove a suo carico, la sua estradizione potrà aver luogo anche nel caso che l'accusa sia palesemente infondata e che egli non abbia mai neppur visto una tartaruga palustre in vita sua. Infatti, come specifica con agghiacciante chiarezza il citato documento parlamentare: "… Non rileva… che l'incriminazione che ha dato origine all'emissione di un mandato d'arresto europeo non esista… nel territorio dello Stato di esecuzione" (pag. 59).

 

 

II

SOPPRESSA LA LIMITAZIONE PER I REATI POLITICI

       Sempre seguendo l'ordine che abbiamo tenuto nel trattare, nella I sezione, le garanzie previste dall'attuale legislazione, osserviamo brevemente che la "proposta di decisione quadro" non prevede alcuna riserva o limite riguardo ai reati politici. La garanzia costituzionale, quindi, risulta abrogata. Vedremo anzi in seguito che proprio i reati di opinione e quindi, in senso lato, politici sono uno dei principali, per non dire il principale obiettivo della decisione quadro comunitaria.

 

III

VERSO LA TOTALE SOPPRESSIONE DELLA CONDIZIONE CHE L'ESTRADATO NON SIA GIUDICATO PER FATTO DIVERSO ANTERIORE A QUELLO PER CUI L'ESTRADIZIONE È STATA CONCESSA E DI QUELLA CHE LO STATO CUI VIENE CONSEGNATO NON LO ESTRADI A SUA VOLTA CONSEGNANDOLO A UNO STATO TERZO

       Al capitolo II della prima sezione abbiamo illustrato la grande importanza della garanzia richiamata nel titolo di questo capitolo. È peraltro evidente che essa appare pressoché svuotata in un contesto legislativo tutto proteso ad affermare il principio della esecutività in tutto lo spazio comunitario di ogni sentenza emessa da qualsiasi giudice di uno qualunque degli Stati membri.
       Comunque, per togliere di mezzo ogni dubbio, il legislatore europeo preferisce demolire tale garanzia in maniera esplicita. Infatti, anche se non la abbatte tutta di un colpo, favorisce e auspica la sua graduale soppressione attraverso atti governativi che sfuggono al controllo dei Parlamenti e che restano totalmente ignoti al semplice cittadino. Al primo comma dell'articolo 22 stabilisce infatti che:
       "ogni Stato membro può notificare al Segretariato generale del Consiglio dell'Unione europea che nei suoi rapporti con altri Stati membri che hanno effettuato la stessa notifica si presume che sia stato accordato l'assenso all'azione penale, alla condanna o alla detenzione ai fini dell'esecuzione di una pena o di una misura privativa della libertà per eventuali reati anteriori alla consegna diversi da quello per cui è stato consegnato" (l'estradato - aggiunta nostra: il testo è privo di soggetto, N.d.A.)4.
       Anche a prescindere da questa larghissima falla palesemente destinata ad allargarsi e ad assurgere a regola generale con l'estendersi delle "notifiche" di assenso presunto, va altresì rilevato che la condizione che l'estradato non sia giudicato per fatto diverso anteriore è già ampiamente vulnerata dalla stessa decisione quadro.


4 A parte la notevole involuzione del periodo, si notino la grossolanità e la frettolosità dei Soloni europei: in un articolo di legge, che esige sempre la massima precisione, e per giunta in così grave materia, essi scrivono il predicato verbale "è stato consegnato" dimenticando il soggetto: l'imputato o il condannato.

       Invero, sempre il citato articolo 22 (comma 3, lettera g, e comma 4), stabilisce che, qualora lo Stato richiedente espressamente faccia domanda di sottoporre l'estradando a procedimento penale per fatto diverso anteriore, lo Stato richiesto - in una serie vastissima di casi, direttamente ed indirettamente scaturente dalla decisione quadro stessa - non può negare il suo consenso.
       Il successivo articolo 23 allarga ulteriormente la breccia prevedendo che, sempre con notifica al Segretariato generale del Consiglio dell'Unione europea, il Paese che concede l'estradizione ne consenta, in linea generale e senza limite alcuno, una o più successive estradizioni ad altri Stati dell'Unione che abbiano fatto la stessa notifica. Ne consegue che l'imputato o condannato potrà essere estradato dal Paese che per primo ne ha chiesto la consegna ad un secondo e, successivamente, magari, ad un terzo, un quarto e così via. Tutto ciò sempre per imputazioni diverse anteriori rispetto a quella per cui è stata concessa la prima estradizione5.
       A questo punto ci pare opportuno introdurre un altro esempio per illustrare le conseguenze pratiche di questa innovazione, ovviamente sempre correlata alle due grandi novità presentate al capitolo I di questa seconda sezione: il signor Rossi viene estradato dall'Italia in Svezia in forza dell'art. 2, 1° comma della "proposta di decisione quadro" per espiarvi una "misura di sicurezza" di 4 mesi corrispondente all'incirca alla nostra libertà controllata6, per una presunta contravvenzione stradale commessa in un qualsiasi paese dell'Unione Europea, per la quale è stato condannato in contumacia e a sua insaputa in quello Stato7. Una volta estradato, se il governo italiano ha effettuato la detta notifica, egli può essere processato e condannato, sempre in Svezia, per un "reato" precedentemente "commesso" in Italia per il quale, in ipotesi, è comminata una pena molto più grave (ad esempio il "reato" di "xenofobia", diciassettesima figura prevista dall'articolo 2 della proposta). Espiata quella seconda pena potrà venire consegnato, poniamo, all'autorità greca per qualche altro fatto (magari un'altra, distinta, manifestazione di "prevenzione" nei confronti di questo o quel gruppo etnico o religioso di immigrati, oppure "traffico di essenze vegetali protette" - dodicesima ipotesi dell'articolo 2 della proposta) e così via, col solo limite teorico del numero degli Stati aderenti all'Unione, dell'entità delle pene da espiare (un ergastolo potrebbe bloccarlo alla prima estradizione) e dei termini di prescrizione dei reati previsti dalle varie legislazioni. Sarà sufficiente che


       5 L'art. 23, comma 1, prevede che l'Autorità giudiziaria del paese che effettua l'estradizione "in un caso specifico" possa negare tali successive estradizioni. Ciò significa che le stesse saranno eccezionalmente ("in un caso specifico") paralizzate da tale Autorità giudiziaria, che può decidere come meglio crede, e pertanto è arbitra assoluta dei destini dell'estradando.
       6 Giova considerare la sconcertante genericità del legislatore europeo, peraltro già presente nella convenzione di Parigi del 1957. Invero in Italia l'espressione "misura di sicurezza" ha un significato ben definito nel contesto del sistema penale di tale Stato. Ora, senza bisogno di indagini di diritto comparato, è certissimo che in altri Paesi dell'U.E. tale termine, anche se ricorrente in tutti, del che dubitiamo, indica istituti certamente diversi, eventualmente equiparabili alle sanzioni sostitutive di cui alla legge italiana nr. 689 del 1981, tra le quali appunto figura la libertà controllata addotta nel nostro esempio. Con avvertenza che abbiamo ipotizzato una sanzione di durata quadrimestrale perché è la misura minima per cui è prevista l'estradizione (art. 2, 1° comma).
       7 È evidente che l'esempio è astratto, formulato, cioè, a prescindere da uno studio della legislazione svedese, ignota all'estensore di queste pagine. Al tempo stesso, però, esso è anche assai concreto, perché riflette situazioni che certamente, per questa o per quella contravvenzione e nei rapporti con questo o quel Paese dell'U.E., verranno a prodursi. È poi evidente che ogni esempio può essere rovesciato nel senso che, reciprocamente, il Paese richiedente potrebbe essere l'Italia e l'estradato cittadino svedese.


una persona o un'organizzazione a lui avverse lo denuncino presso le autorità giudiziarie di vari Stati per fare di lui un pellegrino degli istituti di pena di mezza Europa8.


8 Come si è detto all'inizio del presente capitolo, la soppressione del divieto di estradizione per fatto diverso anteriore, una volta tolti di mezzo il limite della competenza territoriale e quello del principio della doppia punibilità, perde gran parte del suo significato. Invero, abbattuti quei due baluardi di libertà, qualunque giudice di qualunque Paese dell'Unione Europea, potrà fare estradare e gettare in galera qualunque cittadino di qualunque altro Paese della medesima per fatti che afferma commessi in qualsiasi parte del suo territorio, senza altro limite di tempo che quello della prescrizione dell'asserito reato secondo la propria legge nazionale.

       Di fronte a siffatte enormità passano in secondarissimo piano aspetti della proposta che pure in concreto metterebbero l'imputato o il condannato in condizioni di grave, sproporzionata difficoltà. Cionondimeno è opportuno prenderli in considerazione, perché in qualsiasi altro contesto apparirebbero sconcertanti, iniqui e mostruosamente vessatorî. A tal fine torniamo al già prospettato esempio di una condanna di 4 mesi ad una misura analoga alla libertà controllata prevista dalla nostra legislazione, inflitta dall'Autorità giudiziaria svedese per una contravvenzione stradale. Se lo Stato italiano non si avvarrà della facoltà di eseguire esso stesso tale misura nel suo territorio (art. 4, comma 6), il povero signor Rossi si troverà di fronte all'oneroso impegno di procurarsi un alloggio in Svezia per ivi venire sottoposto ai controlli di legge. Dovrà allora sobbarcarsi le spese dell'albergo e, per giunta, non solo si troverà sperduto in un paese di cui non conosce la lingua, lontano dai propri affetti, ma con ogni probabilità perderà anche il lavoro in patria per la troppo lunga assenza. Il tutto portando bensì l'ipotesi ai suoi estremi, ma senza tuttavia uscire dal quadro normativo della proposta, e quindi delle sue possibili applicazioni. Si aggiunga che, al limite, la contravvenzione stradale per cui nell'esempio si chiede l'estradizione potrebbe essere stata commessa in Italia ed essere contemplata dalla legge di tale Stato come semplice illecito amministrativo, come tale penalmente irrilevante. Ciò sempre in forza della soppressione delle regole sulla competenza territoriale e del principio di doppia punibilità.

 

IV

LE INFRAZIONI FISCALI E QUELLE IN MATERIA DI DOGANA E DI CAMBIO

       Abbiamo visto al capitolo II della prima sezione i limiti posti all'estradizione per questo tipo di reati dalla Convenzione di Parigi del 13 dicembre 1957. Orbene tali limiti, importantissimi in una materia così delicata nella quale, per di più, sono possibili, per non dire frequentissime, infrazioni anche colpose, determinate da disattenzione o ignoranza di normative complesse e mutevoli, sono praticamente soppressi dalla proposta. Essa, infatti, all'articolo 4, 1° comma, stabilisce che "in materia di tasse e di imposte, di dogana e di cambio, l'esecuzione del mandato di arresto europeo può essere rifiutata in base al fatto che la legislazione dello stato membro di esecuzione non impone lo stesso tipo di tasse o di imposte o non contiene lo stesso tipo di regolamenti in materia di tasse o di imposte, di dogana e di cambio della legislazione dello stato emittente".
       Cosa si ricava da questa disposizione? Prima di tutto ed evidentemente che l'estradizione non può quasi mai essere rifiutata quando il fatto per cui viene richiesta si riferisca a una tassa o imposta, ovvero a una norma in materia di dogana o di cambio che, pur non costituendo reato, e magari neppure illecito amministrativo per la legge italiana, tuttavia sia "dello stesso tipo" di tasse, imposte o norme in materia di dogana o di cambio previste dalla legge dello stato richiedente, L'espressione insidiosamente vaga e comprensiva "dello stesso tipo", lascia un margine ben ristretto alla facoltà di rifiuto. Invero si potrebbe agevolmente sostenere con riferimento - a titolo di esempio e per non dilungarci troppo - alle sole imposte, che poiché esse sono dirette o indirette, sul reddito o sul capitale, sulle persone fisiche o sulle persone giuridiche, non vi è praticamente "tipo" di imposte e, di conseguenza, "tipo di regolamenti" che le concernono, per cui l'estradizione possa essere rifiutata.
       Il regime dell'estradizione in questa materia, dunque, lungi dall'essere, come pur sarebbe stato ragionevole attendersi, più garantista, è ancor più vincolante per il Paese richiesto di quello previsto per gli altri "reati" che non rientrano nei 32 ripetuti tipi elencati nel secondo comma dell'articolo 2.
       Richiamiamo inoltre l'attenzione del lettore sulla aleatorietà di quel "può" riferito all'eventuale rifiuto alla domanda di estradizione, da parte dell'Autorità giudiziaria del Paese richiesto. Trattasi, invero, di un'eventualità meramente discrezionale che, come tale, non garantisce alcun diritto allo sventurato estradando.
       Nel valutare la latitudine di questa norma va tenuto sempre ben presente il rivoluzionario principio della perseguibilità del cittadino di uno Stato per fatti posti in essere nel territorio del medesimo e per esso leciti, ma previsti come reati dalla legge di altro Paese dell'Unione Europea. Tradotto in pratica, ciò significa che Tizio, cittadino italiano che vive in Italia ed è in regola con la legge italiana, o che comunque è incorso in una infrazione fiscale, doganale o di cambio che la stessa sanziona solo in via amministrativa, può essere estradato perché la sua condotta non rispetta la normativa, poniamo, del Portogallo che prevede, invece, una pena detentiva o una misura di sicurezza intesa nel senso illustrato al capitolo precedente.

 

V

E LA PENA DI MORTE?

       La proposta in esame prevede l'estradizione fra Stati membri dell'Unione solo per pene o "misure di sicurezza" detentive o comunque limitative della libertà personale (artt. 1 e 2). Della pena di morte non fa menzione. Essa tuttavia è preceduta da un preambolo articolato in 14 punti che ne illustra lo spirito e gli scopi e che non può quindi essere ignorato dalle autorità chiamate ad applicarla. Il tredicesimo di questi punti, contraddistinto nel testo col numero 12 bis, prende invero in considerazione tale pena e insieme con essa la tortura, formulando un'enunciazione programmatica che così suona:
       "Nessuna persona dovrebbe essere allontanata, espulsa o estradata verso uno Stato allorquando sussista un serio rischio che esse vengano sottoposte alla pena di morte, alla tortura o ad altri trattamenti o pene inumane o degradanti".
       È evidente che la disposizione, correlata al testo della proposta, si riferisce all'estradizione in Stati non appartenenti all'Unione. Colpiscono però quel condizionale "dovrebbe" e quell'espressione "serio rischio", quasi ci potesse essere un rischio di morte poco "serio" che può anche essere affrontato. Aperture simili, specialmente in clima di crescente globalizzazione, e quindi caratterizzato da un graduale abbassamento delle barriere non solo doganali anche verso gli altri Paesi del mondo, sembrano attenuare non poco le garanzie del cittadino dell'Unione di non essere estradato in uno Stato dove sarà sottoposto alla pena capitale.
       Il timore è tanto più giustificato in quanto la proposta di decisione quadro in esame ne sostituisce una precedente, presentata il 19 settembre ed emendata il 29 novembre 2001, ancor più estensiva di essa, ritirata per superare le perplessità di alcuni Stati membri, nella quale figurava (pag. 125) un articolo 37 bis intitolato "pena di morte" del seguente tenore:
       "L'esecuzione di un mandato d'arresto europeo può essere soggetta alla condizione che lo stato membro emittente si impegna (sic) a non estradare la persona ricercata verso un paese terzo in cui essa potrebbe rischiare di essere condannata alla pena di morte".
       Cosa comportava questa norma? Che in linea generale, salvo specifica condizione limitativa apposta dall'Autorità del Paese di residenza, Tizio avrebbe potuto venir consegnato dallo Stato richiedente a uno Stato terzo, vale a dire estraneo all'Unione Europea, per una imputazione per cui quest'ultimo Paese prevede la pena di morte9.


9 L'art. 23, comma 4 prevede che l'estradizione venga effettuata anche nei confronti di paesi terzi, ma, in questo caso, con l'assenso dello Stato dell'esecuzione in base alla sua legislazione nazionale.

       Per tornare alla concretezza dell'esempio, Tizio, cittadino italiano residente in Italia, condannato a 4 mesi di una misura analoga alla libertà controllata, per un fatto commesso in Italia e non previsto come reato dalla legge italiana da un giudice della Svezia, avrebbe potuto da questo Paese venire estradato, poniamo in Arabia Saudita o in Cina, per ivi venir processato magari per un fatto anteriore, in ipotesi commesso in Italia, per il quale l'uno o l'altro di tali Stati prevede la pena di morte. In condizioni siffatte è evidente che il malcapitato, che si fosse visto arrivare un mandato d'arresto europeo anche per una semplice contravvenzione, con obbligo di espiare la pena nel Paese richiedente, avrebbe iniziato un viaggio verso un ignoto in cui tutto avrebbe potuto attenderlo, onde sarebbe stato per lui prudente disporre le proprie cose come se non avesse dovuto mai più far ritorno.
       Ci si domanda a questo punto: la nuova formulazione della proposta elide almeno questo pericolo estremo della pena capitale? È questo un argomento su cui torneremo in seguito.

 

VI

LA NUOVA NORMATIVA, UNA VOLTA APPROVATA, È IRREVERSIBILE

       Abbiamo visto al capitolo II della prima sezione di questo studio che la Convenzione di Parigi del 1957 prevede la possibilità per ogni Stato che vi abbia aderito, di recedere da essa, o comunque di escludere eventuali reati (artt. 31 e 2, 5° comma del citato testo di legge).
       Si tratta - come si è detto - di una provvida riserva che, pur di fronte a un regime dell'estradizione incomparabilmente più garantista di quello attuale, mentre da un lato lascia a ogni Stato la sua sovranità, dall'altro, soprattutto, gli consente di reagire di fronte ad eventuali abusi delle Autorità di altri Stati aderenti.
       La proposta in esame non contiene questa riserva: nel proclamato contesto di una progressiva marcia verso una sempre più stretta unificazione politica dell'Europa, essa, infatti, costituirebbe un vero non senso. Ogni passo in tale direzione non consente pentimenti o ritorni.
       Questa impossibilità di pentimenti e ripensamenti è strutturale e istituzionale. Invero lo Stato che aderisce alla proposta si spoglia di una parte - abbiamo visto quanto importante per la libertà dei singoli - del suo potere legislativo, cui rinuncia trasferendola irrevocabilmente ad una entità politica, l'Unione Europea appunto, ad esso sovraordinata, che lo trascende e lo vincola. Ne consegue che neppure il suo corpo elettorale, in ipotesi al 100% dei voti, e tanto meno il Parlamento, anche se all'unanimità, hanno più titolo per tornare indietro.
       L'unica possibilità di sottrarsi potrebbe essere, se ciò sarà consentito dalla nascente Costituzione europea, il recesso dall'Unione. Accenneremo in seguito alle gravissime difficoltà cui andrebbe incontro una simile decisione.

 

VII

IL DIRITTO DI DIFESA E LA FUNZIONE DELL'AVVOCATO NELLA NUOVA PROCEDURA DI ESTRADIZIONE

       L'articolo 12 della proposta reca il titolo "Diritti del ricercato" e al secondo comma afferma che "il ricercato arrestato ai fini dell'esecuzione di un mandato di arresto europeo ha il diritto di essere assistito da un consulente legale e da un interprete conformemente al diritto interno dello Stato membro di esecuzione".
       Colpisce il termine inedito "consulente legale" al posto di quello usuale in procedura penale di "difensore", che di per sé solo esprime un programma e una funzione. Sennonché, a ben vedere, alla diversità di nome corrisponde una diversità di prospettive e di compiti. Invero, a prescindere dalla cennata, immensa latitudine delle 32 categorie di "reato" per cui l'esecuzione del mandato di arresto europeo non può venir condizionata dal principio della doppia punibilità, ci si domanda quale attività difensiva possa in concreto svolgere questo "consulente" nel caso in cui, in conformità alla regola generale dell'articolo 2 comma 4°, tale principio non venga fatto valere nemmeno per le altre categorie di reati. Al riguardo va infatti tenuto presente che i "motivi di non esecuzione facoltativa" previsti dall'articolo 4 della proposta, sono rimessi alla mera, insindacabile discrezionalità dell'Autorità Giudiziaria del Paese che deve provvedere all'estradizione, che può applicarli o disapplicarli a suo piacimento10.


10 In questa trattazione per linee generali non possiamo scendere alla disamina, che sarebbe peraltro sconcertante, dei "motivi di non esecuzione facoltativa". Ci limitiamo pertanto a richiamare solo tre dei casi in cui il mandato "può" non essere eseguito perché essi sembrano temperare notevolmente la portata dei principî eversivi sin qui illustrati:
1) se il mandato concerne un fatto che non costituisce reato in base alla legge dello        Stato richiesto, purché però non rientri in una delle 32 categorie di "reato" previste        dall'art. 2 della proposta (art. 4, 1° comma) e non si tratti di un reato in materia        tributaria, doganale o di cambio, per cui vige il regime illustrato al capitolo IV;

2) se il reato sia stato commesso in tutto o in parte nel territorio dello Stato in cui si        trova l'estradando (art. 4, comma 7, prima ipotesi);
3) se tale Stato "non consente l'azione penale per gli stessi reati commessi al di fuori        del suo territorio" (art. 4, comma 7, seconda ipotesi).

Questi motivi di non esecuzione sono peraltro grandemente svalutati per un quadruplice ordine di ragioni:
1) perché, come si è appena visto, costituiscono eccezioni non più che facoltative a        una regola generale, che quindi di massima va rispettata;
2) per l'enorme estensione delle 32 categorie di reato previste dall'articolo 2, su cui ci        soffermeremo in seguito, e in particolare dalla diciassettesima di tali categorie        (razzismo e xenofobia);
3) perché, come pure fra poco vedremo, la proposta costituisce, secondo le enuncia-        zioni programmatiche contenute nell'"Allegato" che l'accompagna, solo un ponte        di passaggio in vista di una prossima futura legislazione in cui i detti motivi di non        esecuzione facoltativa, al pari di ogni altro limite alla "libera" estradizione, saranno        definitivamente soppressi.
4) Perché comunque la scelta di estradare o meno il malcapitato, in questi casi, non è        presidiata da alcuna garanzia, ma è rimessa al mero ed insindacabile arbitrio del        giudice chiamato a pronunciarsi al riguardo.


       A questo punto è evidente che al legale chiamato ad assistere l'estradando altra possibilità non resta che quello di verificare se ricorrano i requisiti puramente formali e burocratici del mandato d'arresto, stabiliti dall'articolo 9, con avvertenza però che tali requisiti non mancheranno mai dal momento che è previsto (articolo 9, 2° comma) che il mandato sia compilato sulla base di un semplice formulario standard prestampato che non lascia margine ad errori od omissioni.
       Esclusa ogni possibile discussione sulla prova del reato, argomento che il mandato non può e non deve neppure sfiorare (art. 9), un esiguo margine di difesa - fondato solo, si ripete, sulla misericordia del giudice - resterà dunque quasi soltanto in quei Paesi in cui sarà mantenuto in linea di deroga, peraltro, come vedremo al capitolo seguente, solo provvisoriamente, il principio della doppia punibilità.
       Occorre infatti tener sempre presente il caposaldo della proposta costituito dalla eversione dei principî sulla competenza per territorio in nome di una competenza universale legittimata invocando (punto 5 dell'allegato) l'esigenza di un "sistema di libera circolazione delle decisioni giudiziarie penali", allo scopo di fare dell'intero territorio europeo "uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia".
       In conclusione si può ben dire che l'unico "diritto" che, nella nuova procedura per estradizione, in pratica rimane a chi vi è sottoposto, e che infatti il citato articolo 12 prevede al 1° comma, è quello di "acconsentire alla propria consegna all'autorità giudiziaria emittente". Invero, qualora egli non presti tale consenso, il "diritto" che in alternativa gli compete è quello dell'"audizione a cura dell'autorità giudiziaria dell'esecuzione". Sennonché, dal momento che tale autorità, come si è detto, non ha alcun potere di prendere in considerazione le sue discolpe, non si vede a cosa questa audizione gli possa servire, né a cosa posa giovargli, in questo frangente, l'assistenza del difensore, se non forse a tentar di parare eventuali grossolane future falsificazioni probatorie dell'autorità emittente.
       È dunque giocoforza riconoscere che nel procedimento di estradizione il diritto alla difesa è stato pressoché soppresso, e l'avvocato ridotto a una semplice comparsa, la cui principale funzione è quella di mantenere nell'opinione pubblica l'illusione che tale diritto sia ancora esistente e rispettato.


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