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SEZIONE TERZA

APPROFONDIMENTI, PROSPETTIVE E CONSIDERAZIONI
QUALE SARÀ IL NOSTRO FUTURO? LE LEZIONI DEL PASSATO

 

I

IL MANDATO D'ARRESTO EUROPEO COME SEMPLICE TAPPA VERSO LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE CONDANNE IN EUROLANDIA. ATTENZIONE: INDIETRO NON SI TORNA! ADDIO ALLE SOVRANITÀ

       La decisione quadro europeista va letta in prospettiva. Va cioè considerata come uno strumento transitorio, un ponte di passaggio suscettibile di ulteriori sviluppi. Una disamina che prescindesse da questo dato sarebbe incompleta e, in definitiva, mistificante.
       Invero, nello stesso "Allegato", che la precede, al punto 6 è espressamente scritto che il testo legislativo in esame "costituisce la prima concretizzazione nel settore del diritto penale del principio di riconoscimento reciproco". Solo un primo passo, dunque, anche se un passo fatto con gli stivali dalle sette leghe. Infatti al precedente punto 5 è detto chiaro e tondo che "l'obiettivo dell'Unione di diventare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia comporta" addirittura la "soppressione dell'estradizione tra Stati membri" e la sua sostituzione con un "sistema di consegna fra autorità giudiziarie", trasformate in tal modo, nei loro segmenti preposti alle consegne dei condannati e degli imputati, in autorità carcerarie. Non si vede infatti, una volta tolto di mezzo ogni residuo controllo, che senso abbia, quale funzione di garanzia di esatta applicazione della legge rivesta, la presenza del giudice, se non quella stessa, puramente illusoria, che abbiamo visto competere all'avvocato nella procedura di estradizione prevista nella proposta.
       Questo "obiettivo", peraltro ampiamente anticipato dal Consiglio europeo di Tampere del 15-16 ottobre 1999, è molto importante perché non può non incidere sull'interpretazione e quindi sulla applicazione della proposta una volta che sarà diventata legge. Conoscendo, invero, la tendenza e la meta del legislatore, la giurisprudenza sarà spinta ad interpretarla alla luce dei già previsti sviluppi ed a muoversi fin dall'inizio nella direzione da essi segnata.
       Come conseguenza di ciò le autorità giudiziarie dei paesi membri faranno uso assai parco di quei "motivi di non esecuzione facoltativa" delle domande di estradizione cui possono ricorrere a norma dell'articolo 4, visto che sono destinati a venire abrogati. Comunque, quando anche questa labile, precarissima barriera sarà abbattuta, vigerà senza più limite alcuno il principio per cui il cittadino italiano può venire estradato da qualsiasi giudice o pubblico ministero di qualsiasi paese dell'Unione per un fatto compiuto, o che comunque si sostenga essere stato compiuto in Italia, anche se per il suo diritto nazionale tale fatto non costituisca reato e venga anzi considerato espressione di un diritto costituzionalmente garantito.
       Ne consegue che potrebbe persino paradossalmente (ma realmente) non esservi più alcun (per quanto precario) limite alla possibilità che una qualunque persona venga tratta in arresto in forza di mandato europeo per un reato caduto in prescrizione in base alla legge dello Stato di cui è cittadino e in cui lo ha commesso (art. 4, par. 4) e a quella che venga contemporaneamente processata in più Stati per lo stesso fatto ed estradata a tal titolo verso uno di essi. E ciò anche ove si tratti, per tenerci alla nostra linea esemplificativa, di reato commesso in Italia, da cittadino italiano e per il quale sia in corso, o si sia già svolto, un processo davanti all'autorità giudiziaria italiana (articolo 4, paragrafo 2)11.


11 In teoria, in base a principi generali del diritto condivisi dalla maggior parte degli ordinamenti, vige la regola del ne bis in idem: una persona non può essere condannata due volte per il medesimo fatto. È altresì vero che scardinato il principio di diritto posi-tivo e naturale del giudice naturale (si scusi la ripetizione), poiché lo Stato estradante non ha mezzi per sindacare o circoscrivere a priori il giudizio che si svolgerà nello Stato richiedente, diventa aleatoria anche l'applicazione del ne bis in idem. Oltretutto, le dif-ferenze fra i vari ordinamenti potrebbero consentire di aggirare tale principio, prospet-tando la condanna già irrogata per lo stesso fatto come condanna parziale, suscettibile di integrazioni. Il secondo giudizio, in un altro Stato ed in base ad una diversa legisla-zione, pertanto, pur non violando formalmente il ne bis in idem lo violerebbe nella so-stanza.

       Posta questa possibilità di molteplici processi in Paesi diversi per un medesimo fatto, ci si chiede: in caso di assoluzione in Italia e di condanna in Svezia, quale delle due sentenze andrà eseguita? Pare evidente che, nella logica del sistema, andrà eseguita quella di condanna.
       È importante osservare che la "soppressione dell'estradizione" e la sua sostituzione con un "sistema di consegna fra le autorità giudiziarie" farà venir meno ogni differenza tra le famose 32 ipotesi dell'articolo 2 della proposta, per le quali l'estradizione non può essere negata, e tutte le altre figure di reato per le quali invece può essere temporaneamente mantenuto il principio della doppia incriminazione.
       Ne segue che l'accesa discussione ingaggiata sull'esclusione o meno di talune di quelle 32 ipotesi, anche a prescindere da tutto quanto sin qui si è detto sul tema, costituisce una battaglia di pura retroguardia, fatalmente destinata allo scacco finale, e per giunta a uno scacco imminente.
       A questo riguardo va sottolineata la capitale differenza con la vigente, pur discutibile, Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957 che, come abbiamo visto, al capitolo II della prima sezione, all'articolo 31, pur essendo così smisuratamente meno invasiva, penetrante e vincolante e, pertanto, meno esposta al rischio di abusi, riconosce agli Stati membri la facoltà di recesso. Ricordiamo altresì che, come pure si è detto, tale Convenzione consente (art. 2, 5° comma) di escludere dal suo ambito di applicazione determinate categorie di reati, facoltà che, ovviamente, con l'adesione alla proposta scompare irremissibilmente.

 

II

ADDIO LIBERTÀ PERSONALE, ADDIO "SOVRANITÀ POPOLARE", ADDIO "DEMOCRAZIA", ADDIO COSTITUZIONE!

       Nel capitolo VI della seconda sezione abbiamo osservato che, una volta intervenuta l'adesione alla proposta, né il Parlamento con voto unanime né il popolo italiano, sia pure al 100% dei suoi elettori, potranno tornare sul passo compiuto.
       Così stando le cose ci si chiede che senso abbia la parola "democrazia" e quindi cosa conti il voto degli italiani, così come quello dei cittadini di tutti gli altri Stati, nel quadro dell'Unione Europea quale la stessa si viene configurando. Si stanno infatti centralizzando le funzioni e mescolando le istituzioni e le leggi in un contesto per ora, e in attesa di ulteriori ampliamenti, di 25 popoli parlanti quasi altrettante lingue diverse e quindi in una situazione di pressoché completa incomunicabilità, di difficilissima e rallentatissima circolazione delle idee, con problematiche, tradizioni, interessi e sistemi giuridici diversificati e spesso confliggenti. La questione non è certo di poco conto perché, anche restringendoci al tema in esame, investe direttamente, al di fuori di ogni nostro concreto potere di intervento, tutte le nostre libertà e coinvolge e travolge tutte le strutture che, come abbiamo illustrato per sommi capi al capitolo I della prima sezione di questo studio, sono state erette per tutelarle.
       Abbiamo invero già visto come la proposta di decisione quadro investa, addirittura abrogandole - in modo del tutto atipico - importanti norme della Costituzione e in particolare il primo comma dell'articolo 25, secondo cui "nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge" e, nella sua totalità, l'articolo 26, che pone il divieto dell'estradizione del cittadino se non sia "espressamente previsto dalle convenzioni internazionali", e comunque la esclude senza eccezione per i reati politici.
       Qualcuno obietterà forse che il primo dei detti due divieti non è violato perché è appunto in base a una Convenzione internazionale che il cittadino verrà incondizionatamente estradato in uno qualsiasi dei, per ora, 25 Paesi dell'Unione Europea. Non è però chi non veda quanto questa obiezione sarebbe formalistica e farisaica. La "ratio" della norma costituzionale, invero, è evidentissimamente quella di considerare l'estradizione del cittadino come un'eccezione e non certo di farne la regola, tanto meno, poi, quando l'estradizione si riferisca a "reati" "commessi" in Italia, eventualità questa che l'Assemblea costituente non si prospettò neppure lontanamente come possibile.
       Giova qui aggiungere che l'articolo 25 è vulnerato a morte anche negli altri suoi due commi che così suonano:
       "Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.
       Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso".

       È evidente che in entrambi i commi quando il costituente parla di "legge" si riferisce alla legge italiana che il cittadino deve conoscere, non certo all'ignota legge, scritta nell'ignota lingua di qualche lontano Stato come appunto, per un italiano - e il discorso, come sempre, vale anche in senso reciproco - sono la Svezia, la Finlandia o la Grecia.
       L'abolizione della doppia punibilità e della competenza per territorio, assumono in definitiva portata dirompente, scardinando uno dei gangli vitali del sistema penale italiano: i principi, fra loro strettamente connessi, di legalità, di tassatività, di irretroattività ed il divieto di analogia12.


12 Senza dilungarsi su questioni giuridiche e senza pretesa di completezza: legalità significa che fattispecie criminose e pene debbono essere previste solo con l'atto nor-mativo per eccellenza, cioè con legge, affinché il procedimento di formazione della disciplina penale sia sottoposto ad un rigoroso controllo parlamentare e sociale; tas-satività significa che la norma deve prevedere con precisione e puntualità la fattispecie criminosa sanzionata; irretroattività che la legge penale può punire solo fatti successi-vi alla propria entrata in vigore; il divieto di analogia impedisce al giudice di sanzionare casi simili ma diversi da quelli espressamente contemplati in legge. Lo scopo di questi principi è ovviamente quello di fissare i criteri basilari per impedire che l'uso del diritto penale diventi strumento arbitrario di repressione.

       Questi quattro principi - la cui copertura costituzionale ha rilievo di primissimo piano (art. 25 Cost.), costituendo l'ossatura delle garanzie minimali che il sistema penale italiano riconosce al cittadino - perdono completamente di significato13.
Dunque, in definitiva, dell'intero articolo 25 della Costituzione e dei vari corollari che se ne desumono e che tutte le trattazioni di diritto penale italiano pongono a fondamento della civiltà del nostro sistema, non ne rimane in piedi neppure uno.
Si deve concludere o che sino ad oggi tutti gli studiosi di diritto penale abbiano insegnato amenità a generazioni di studenti in giurisprudenza, o che l'U.E. abbattendo tali principi di civiltà sia portatrice di una pericolosissima, nonché totalitaria, concezione del diritto penale.


13 Anzitutto, quali garanzie sono contemplate nella proposta di mandato di arresto europeo che questi principi vengano rispettati nei Paesi in cui il "deviante" deve essere deportato? Nessuna. Il problema di avere un'omogeneità di garanzie minimali per il deportato non è affatto preso in considerazione dal legislatore europeo, preoccupatissimo solo di disporre di mezzi repressivi di sconfinata potenzialità e di schiacciare i reprobi.
In secondo luogo, se diventa possibile punire chi ignorava e non poteva che ignorare di avere commesso un fatto previsto come reato dalle leggi di un altro Stato - magari di qualche sperduto paese alla periferia dell'Europa - è evidente che discutere di tassatività, di legalità, ecc. rappresenta una finezza eccessiva: il diritto penale diventa un pretesto per reprimere liberamente, diventa atto di pura ed incondizionata violenza.


       Che di vera e propria inciviltà e deriva totalitaria si tratti, nell'ottica a tutt'oggi pacifica dei penalisti italiani, lo si vedrà meglio più avanti esaminando le singole fattispecie criminose comunitarie, delineate con voluta sciatteria (altroché tassatività), per nulla definite nei loro contorni e nei loro presupposti, così da consentire margini di manovra letteralmente sconfinati ai futuri inquisitori dell'" Inquisizione Comunitaria".
       Ma chi si fermasse ai soli articoli 25 e 26 si ingannerebbe di grosso. Senza pretesa di essere esaustivi richiamiamo qui il 2° comma dell'articolo 24, cuore di tale disposizione di legge: "La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento". La domanda che ci si pone di fronte alla entrata in vigore della proposta è questa: quale tipo di difesa e come strutturata? Vale a dire: in base al diritto di quale Stato? Ovviamente, nell'intenzione del costituente e fino ad oggi, in base al diritto italiano che prevede una molteplicità di garanzie anche di recente, o abbastanza recente, introduzione. Ricordiamo, a titolo di mero esempio, il cosiddetto "tribunale della libertà" (rectius tribunale per il riesame), di cui agli articoli 309 e seguenti del codice di procedura penale, che interviene per verificare la legittimità o l'opportunità delle misure cautelari, anche e soprattutto detentive, e cioè delle misure applicate prima che sia intervenuta sentenza di condanna, nonché le applicazioni provvisorie e preventive delle misure di sicurezza e i sequestri, pure preventivi, di beni dell'imputato. Ricordiamo ancora tutto il procedimento di sorveglianza che concerne l'esecuzione in concreto della pena e in particolare l'applicazione delle cosiddette misure alternative (detenzione domiciliare, ecc.). È una fase procedimentale che ha assunto importanza via via crescente e cui sono preposti appositi tribunali. Per non parlare di tutti gli altri diritti - per illustrare i quali ci vorrebbe un apposito trattatello di procedura penale - che la legge italiana riconosce alla difesa.
       Con questo discorso non si vuol prendere posizione sull'annosa polemica fra la corrente, sino ad oggi di gran lunga maggioritaria, che spinge sempre più avanti le garanzie della difesa, e chi trova invece che tale orientamento sia eccessivo ed abbassi di troppo le esigenze della sicurezza della società e della certezza della pena.
       Qui si vuole solo dire che anche la grande maggioranza degli "antigarantisti" non contesta affatto il fondamentale principio del diritto alla difesa quale delineato dalla legge italiana in molte sue importanti articolazioni, e comunque che nessuno si è mai sognato di costringere l'imputato a un salto nel buio affidandone le sorti a legislazioni ignote, remote e svariate.
       Un'altra norma che viene travolta dalla proposta di decisione quadro europeista è l'ultimo comma dell'articolo 13 secondo il quale "la legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva". È evidente che, ad estradizione avvenuta, tal limiti non saranno più quelli previsti dalla legislazione italiana, bensì quelli dello Stato emittente, ignoti - sino al dunque - all'estradando ed eventualmente molto più estesi.
       Un aspetto particolarmente sconcertante per il giurista italiano è poi il radicale contrasto fra la proposta in esame e l'articolo 111 della Costituzione. Ricordiamo al riguardo che tale articolo è stato recentemente modificato, con l'accordo di tutte le principali forze politiche, con legge costituzionale 23 novembre 1999 nr. 2, nell'intento di instaurare, sempre nel quadro di quella tendenza garantista cui abbiamo accennato, il cosiddetto "giusto processo". Giova sottolineare questo termine testuale, che peraltro sembra contenere una forse eccessiva ed inopportuna valenza di condanna nei confronti di tutta la procedura penale anteriore a tale riforma, qualificata indirettamente come ingiusta.
       Orbene, il concetto di "giusto processo", che sta incidendo profondamente non solo sul diritto penale, ma sul nostro sistema giuridico nel suo complesso, come è agevole constatare dalla semplice lettura del citato articolo 111 nella sua nuova formulazione, marcia in senso esattamente e radicalmente contrario alla proposta del Consiglio dell'Unione Europea.
       A questo punto ci si domanda con quale coerenza sia possibile presentare il "giusto processo" come un punto di arrivo, e di rinnovata partenza, come una preziosa conquista della nostra civiltà giuridica, per poi accantonarlo come spazzatura un paio di anni dopo passando da un garantismo esasperato all'arbitrio più illimitato. Dov'è la coerenza del nostro sistema e del nostro legislatore?
       Forse - ma su ciò torneremo in seguito - quella europeista è proprio una fede, e per giunta una fede assurda che consente le più clamorose metamorfosi e i più plateali stravolgimenti dei principî e dei concetti fondamentali di giustizia e di libertà e, in ultima analisi, anche di società civile.
       Ma le contraddizioni fra la proposta e la Costituzione non finiscono qui. È ben noto, infatti, quale importantissima parte abbia rivestito e rivesta la materia penale nella giurisprudenza della Corte costituzionale. Orbene, con la nuova normativa sull'estradizione tale giurisprudenza, anche se potrà formalmente proseguire, in concreto non conterà più un canonico fico secco. Invero detta Corte, per ovvie ragioni di competenza, non potrà mai permettersi di verificare la conformità o meno alla Costituzione italiana delle norme giuridiche che sono a fondamento di un mandato di arresto emesso da uno Stato estero anche - e ciò va tenuto sempre ben presente - per un fatto avvenuto in Italia.
       È un intero importantissimo ramo della nostra Costituzione che in pratica viene reciso.
       Alla luce delle considerazioni sin qui svolte è inevitabile riconoscere che la proposta coinvolge e travolge oltreché l'ultimo, anche il 1° e il 2° comma del citato articolo 13 della Costituzione, che così suonano:
       "La libertà personale è inviolabile.
       Non è ammessa forma alcuna di detenzione di ispezione o di perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge".

       Di fronte al mandato di arresto europeo invero, non ci si può non chiedere: da parte di chi è "inviolabile" la libertà personale? Da quale "autorità giudiziaria" deve provenire l'atto che decide su di essa?
       E da quale "legge" sono previsti i "casi e i modi" che legittimano la detenzione e tutto il resto? Di più: la proposta esclude la motivazione da parte dell'autorità giudiziaria straniera che chiede l'estradizione, e quindi addio "atto motivato"!
       A ben rifletterci la decisione quadro incide sulla Costituzione italiana, come del resto su quella di tutti gli altri popoli dell'U.E., anche al di là di questi pur fondamentali principî ed articoli. Essa invero pone il principio generale secondo cui le costituzioni degli Stati membri possono essere modificate o implicitamente abrogate con semplici accordi internazionali, diventando praticamente leggine di secondo piano. In tal modo vengono svuotati di ogni significato tutti i complessi meccanismi previsti per la loro modifica (per la Costituzione italiana, vedasi l'articolo 138)14. Cade così, miseramente, con tutto il resto del palco, il 1° articolo di quella che ancora oggi viene chiamata la nostra "Carta fondamentale", laddove pone il principio secondo cui "la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione".


14 Ci riferiamo qui alle Costituzioni dette "rigide" appunto perché modificabili solo con particolari procedure e maggioranze.

 

III

LE RESISTENZE DI BERLUSCONI E IL SUO FINALE ACCORDO COL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DELL'UNIONE EUROPEA VERHOFSTADT. DOMANDE ANGOSCIOSE

       Posta l'assoluta inconciliabilità fra Costituzione italiana e proposta europea, si pone un problema che concerne specificamente il nostro Paese, il cui Presidente del Consiglio, sorprendentemente, è stato l'unico a esprimere gravi riserve sul mandato di arresto internazionale. Premuto da più parti, anche all'interno del Paese, egli infatti è addivenuto col Presidente di turno del Consiglio, Verhofstadt, ad un accordo il cui testo così suona:
1. "L'Italia accetta il mandato di cattura europeo definito dal Consiglio        dei Ministri della Giustizia ed Affari Interni del 6 dicembre 2001.
2. Al momento dell'adozione della decisione quadro il Consiglio prende-        rà atto della dichiarazione seguente dell'Italia relativa all'articolo        26:
       "Per dare esecuzione alla Decisione Quadro sul mandato di cattu-        ra europeo il Governo Italiano dovrà avviare le procedure di dirit-        to interno per rendere la Decisione Quadro stessa compatibile con i        principî supremi dell'ordinamento costituzionale in tema di diritti        fondamentali e per avvicinare il suo sistema giudiziario ed ordina-        mentale ai modelli europei, nel rispetto dei principî costituzionali".

       La domanda che sorge, inevitabile, dalla lettura di queste righe è la seguente: come è possibile conciliare la "Decisione Quadro", e cioè la proposta europeista, con "i principî supremi dell'ordinamento costituzionale (ovviamente italiano) in tema di diritti fondamentali" dal momento che si tratta di due termini fra loro non solo diversi, ma, come si è visto, addirittura contrarî? Si vuole forse modificare la Costituzione per adeguarla alla proposta? Ma ciò non si potrà fare se non abrogando con le maggioranze previste dall'articolo 138 della Costituzione "i principî supremi in tema di diritti fondamentali" stabiliti dalla Costituzione stessa. E allora che razza di "principî supremi" e che razza di "diritti fondamentali" sono mai quelli che si vogliono cancellare con un voto parlamentare, sia pure a maggioranza assoluta? Come si può proporre la soppressione di diritti qualificati supremi e fondamentali, senza con ciò stesso ammettere che si sta instaurando una spaventosa tirannide che calpesta e cancella tali diritti? E quale giudizio si dovrebbe dare del Parlamento se a maggioranza assoluta votasse la cancellazione dei diritti fondamentali del popolo che esso rappresenta, e quindi, con mossa suicida, anche di quelli dei proprî membri?
       Ancora: come può un Capo di Governo impegnarsi a promuovere la cancellazione dei diritti fondamentali del popolo alla cui guida è preposto? O forse si deve dare prevalente rilievo alla locuzione finale "nel rispetto dei diritti costituzionali" considerati come insopprimibili? In tal caso l'impegno assunto ("l'Italia accetta il mandato di cattura europeo") non vale assolutamente nulla, perché nulla vi è, nei principî europeisti quali vengono delineati dal detto mandato, che possa conciliarsi con quelli costituzionali. Del resto da quando in qua una singola persona, sia pur essa il Presidente del Consiglio dei Ministri, può da sola impegnare l'intera Italia ("l'Italia accetta"), per giunta rovesciandone la Costituzione e sopprimendo tutte le libertà civili dei suoi cittadini? Il fatto che l'U.E. abbia, per così dire, estorto questo impegno, dimostra in qual conto, al di là delle proclamazioni di facciata, essa tenga i più elementari principî democratici.
       Poste queste ovvie considerazioni spaventa e sgomenta constatare che l'opposizione italiana, lungi dal censurare questa troppo timida resistenza, per non dire questo grave e preoccupante cedimento, la ha in gran parte propiziata premendo per un accoglimento incondizionato del mandato di arresto europeo.

 

IV

L'IMPOTENZA DEGLI AVVOCATI DIFENSORI

       Un settore di capitale importanza che viene sconvolto dalla proposta, è il ruolo dell'avvocato penalista nel sistema giudiziario europeo, ruolo che sin qui abbiamo considerato solo con riferimento al suo intervento nella procedura di estradizione (capitolo VII della seconda sezione).
       Anche in questo settore si profilano notevoli trasformazioni.
       Oggi come oggi, invero, malgrado la proliferazione caotica che, nonostante la recente normativa sulla depenalizzazione, caratterizza l'attuale legislazione italiana anche in materia criminale, il cittadino dubbioso può sempre recarsi dall'avvocato per sapere se una data condotta sia o meno permessa dalla legge, o comunque se sia penalmente perseguibile.
       Con l'entrata in vigore della normativa europea sull'estradizione nessuno studio o legale, per quanto competente e attrezzato, sarà in grado di risolvere simili dubbî. Quale collegio di giuristi, invero, per quanto numeroso e qualificato, oltre ad essere in grado di conoscere tutte le lingue parlate nell'ambito dell'Unione Europea, potrà orientarsi in tutte le legislazioni dei venticinque Stati che la compongono, quando già è assai difficile tener dietro alle continue novità legislative e alle crescenti oscillazioni della sola giurisprudenza nazionale?
       D'altronde a estradizione avvenuta, una volta deportato in terra straniera, quasi nessuno potrà permettersi le mostruose spese che comporterebbe il farsi seguire e assistere da un difensore di propria fiducia.

 

V

PREVEDIBILI EFFETTI DELLA PROPOSTA SULLE LEGISLAZIONI PENALI DEI SINGOLI STATI

       La soppressione del principio della competenza territoriale del giudice nei rapporti internazionali rende illogica e contraddittoria la permanenza di tale principio all'interno dei singoli Stati: se posso essere perseguito in Svezia o in Grecia per un fatto commesso in Italia, a fortiori potrò esserlo a Roma per un fatto commesso a Torino.
       Questo solo rilievo è sufficiente a far comprendere che la proposta europea è destinata a incidere molto profondamente anche sui diritti nazionali interni di cui stravolge i principî cardine.

 

VI

CONSIDERAZIONI SUGLI EFFETTI DELLA PROPOSTA IN PREVISIONE DELL'ALLARGAMENTO DELL'U.E. AD ALTRI STATI, IN PARTICOLARE ALLA TURCHIA. - ANCORA SULLA PENA DI MORTE

       Uno degli aspetti principali di cui va tenuto conto nel considerare le prevedibili applicazioni della proposta è che, come si è accennato, l'Unione Europea è un'unità politica in espansione dal momento che, oltre ai 25 Stati che ormai ne fanno parte, molti altri hanno chiesto e altri ancora chiederanno di aderirvi, ulteriormente e grandemente ampliando l'area di applicazione della nuova disciplina sull'estradizione e dilatando le problematiche che abbiamo sin qui considerato.
       Ignorando le legislazioni dei detti Stati è impossibile misurare le implicazioni, certamente rilevanti, che deriveranno dalla loro adesione.
       Per tenerci a un dato universalmente noto ci limitiamo pertanto a ricordare che fra i Paesi in lista di attesa figura anche la Turchia, che ha avanzato la propria domanda sin dal 14 aprile del 1987. Ora, l'accoglimento di tale domanda è tutt'altro che improbabile. Si sono espressi invero, assai autorevolmente, in suo favore Romano Prodi15 e lo stesso Silvio Berlusconi, e premono in tal senso gli USA e tutto il potente "establishment" laicista europeo e americano che vede nell'ingresso della Turchia nell'U.E. un'occasione per negare che il denominatore spirituale e storico che aggrega e fonda tale unità politica siano le comuni radici cristiane dei popoli che la compongono.
       Ora, è ben noto quali siano le terribili condizioni in cui versano le carceri turche dove numerosissimi detenuti, pur abituati a un livello di vita incomparabilmente più misero e disagiato di quello occidentale, in preda all'esasperazione hanno intrapreso uno sciopero della fame ad oltranza che alla fine del 2001 aveva già mietuto più di 50 vittime16.
       Ma vi è molto di più: la Turchia è un paese retto da un regime laicista instaurato dopo la prima guerra mondiale da Kemal Ataturk, esponente della massoneria, che condusse una vasta campagna di occidentalizzazione delle istituzioni di quel Paese, giungendo sino ad abbattere, nel 1924, il califfato, punto di riferimento dell'unità islamica di osservanza sunnita. Oggi, però, l'impetuosa rinascita del cosiddetto "fondamentalismo" islamico ha indebolito di molto il potere kemalista. Esso, invero, poggia principalmente su una casta militare legata alle tradizioni massoniche del fondatore, ma il Paese si sta orientando sempre di più verso un ritorno all'Islam duro e puro.
       Erdogan, infatti, è giunto al potere proprio cavalcando - ignoriamo con quanta sincerità - il cavallo della reislamizzazione della Turchia e per quanto si sforzi di preservare i legami col mondo occidentale faticosamente tessuti dai suoi predecessori, non può non tener conto del suo elettorato, così come non può non tenerne conto la casta militare massonica di alti ufficiali che custodisce l'eredità di Ataturk, ma che appare sempre più isolata dalla stragrande maggioranza del popolo. Samuel Huntington, nel suo libro "Lo scontro delle civiltà" di cui tanto si parla, specialmente dopo l'attentato alle Twin Towers, definisce la Turchia "un paese in bilico"17.


       15 Che poi peraltro si è contraddetto, frenando gli entusiasmi europeisti della Turchia e ricordando il detto italiano
"Mamma li turchi…" che evoca, con popolare e quasi ingenua spontaneità, i macelli delle genti italiche (per tacere del
resto) che caratterizzarono per secoli la feroce espansione e le cruente scorribande dell'Islam turco.
       16 Cfr. il numero di gennaio 2002 della Rivista "Polizia penitenziaria", inserto "Fatti di giustizia 2001", pag. VIII.
       17 Samuel Huntington, "Lo scontro delle civiltà e il Nuovo Ordine Mondiale", Garzanti ed., 1997, pag. 215.


       La recentissima guerra mossa dagli angloamericani contro l'Iraq ha reso questo "bilico" molto più precario portando anche a una vistosa incrinatura dei rapporti con gli USA. È peraltro prevedibile che la Turchia, che recentemente ha soppresso la pena di morte con una precaria e sofferta operazione di "lifting" occidentalizzante, non addivenga in tempi brevi ad un ripristino integrale della "sharia" - le cui regole e pene sono state rese famose dai talebani dell'Afghanistan - perché i suoi dirigenti si sforzeranno, colle unghie e coi denti, di mantenere un volto presentabile per poter "entrare in Europa". Di tale ingresso, infatti, quello Stato ha estremo bisogno per poter scaricare sui paesi dell'U.E. il peso della propria notoriamente disastrosa condizione economico-finanziaria, anche inondandoli coi milioni dei suoi disoccupati e sottooccupati. In questo suo programma è prevedibile che non perderà l'appoggio degli USA, cui preme creare difficoltà alla concorrenza europea, e neppure quello, ideologicamente motivato, di quei superlaicisti di cui si è detto. Costoro si oppongono alla inserzione nella nascente Carta costituzionale dell'Unione europea di un sia pur molto platonico richiamo alle radici storiche cristiane dei popoli europei, in prospettiva anche di un allargamento agli Stati islamici del Nord Africa.
       Ad ingresso avvenuto, però, tutto sarà possibile, a partire dal ripristino della pena di morte. E non è affatto detto che gli organi comunitarî - le cui ambiguità riguardo a tale pena abbiamo già considerato al capitolo V della seconda sezione, e le cui propensioni liberticide stiamo con sgomento considerando - non siano pronti a prenderne atto nelle preannunciate riforme estensive in materia di estradizione. Ciò, del resto, con coerente applicazione del progettato "sistema di libera circolazione delle decisioni penali".

 

VII

ESTRADIZIONE O DEPORTAZIONE?

       Al capitolo IV di questa terza sezione abbiamo definito l'estradato un "deportato". Questa definizione non paia eccessiva.
       Si consideri, infatti, la condizione di una persona prelevata dalla sua città o dalla sua terra, trasportata di forza in un paese straniero dove non ha alcun riferimento parentale, amicale e professionale, di cui il più delle volte ignora persino la lingua e dove, a sua volta, è a tutti sconosciuta, mentre assai difficilmente i suoi congiunti potranno andare a visitarla e a darle qualche conforto.
       Si aggiungano le difficoltà di questo sventurato nel preparare una difesa di fronte ad atti processuali redatti in una lingua che non conosce e con l'assistenza, se potrà averla, di legali che non lo comprendono. Il tutto sotto la minaccia di ulteriori trasferimenti verso altre ignote destinazioni e sotto il peso di altri, del pari ignoti, capi d'accusa.
       Nella sua terra, fuorché dai suoi cari, egli sarà tosto dimenticato. Il suo processo in un Paese che lo ignora e si disinteressa totalmente di lui, si celebrerà nel silenzio e nell'ombra, senza controllo alcuno della pubblica opinione. Difficilissimo, poi, per chi non ha dovizia di mezzi, risulterà avvalersi della possibilità di impugnazione offerta dal sistema penale dello Stato emittente.
       Chi ben rifletta su queste angosciose circostanze non potrà non convenire che, nel quadro normativo della "proposta", estradizione sarà assai spesso, per non dire sempre, sinonimo di deportazione.

 

VIII

PANORAMI PREVEDIBILI E INQUIETANTI DELLA GLOBA-LIZZAZIONE GIUDIZIARIA

       Le considerazioni sin qui svolte ci consentono di delineare gli scenarî che saranno resi possibili dall'entrata in vigore della proposta.
       Le possibilità di criminalizzare chiunque - al contempo privandolo di ogni reale mezzo di difesa - che scaturiscono da detta proposta europea, sono sconfinate; lo si vedrà ancora più approfonditamente trattando della (volutamente) approssimativa tipizzazione dei crimini comunitari: non si dica quindi che le prospettive qui prefigurate sono eccessive. La storia conosce già leggi di amplissima portata criminalizzatrice e, guarda caso, queste leggi hanno rappresentato il presupposto per legittimare lo scatenarsi di feroci repressioni - sono i casi più famosi - nella Francia rivoluzionaria dell'epoca del terrore, o ancora nell'Unione Sovietica …
       Si vedrà, ad es. attraverso un'interessante analisi di Solgenitsin, che per tradurre in realtà il paradosso il legislatore sovietico approntò proprio una normativa di larghissima portata. Anche in un'ottica di comparazione con il passato, dunque, la proposta di mandato di cattura europea è talmente grezza, e potenzialmente molto più oppressiva rispetto agli stessi principi che mossero la "giustizia" rivoluzionaria, che qualunque studente di giurisprudenza - anche solo nella fase di un primo approccio con i principî generali di diritto penale - dovrebbe inorridire di fronte a un tanto grave capovolgimento di prospettive. Non è credibile che il legislatore europeo sia vittima di un'ignoranza tanto crassa dei principi generali del diritto naturale ed al contempo che ignori la storia ed i meccanismi di oppressione delle tirannidi più recenti.
       È noto infatti a chiunque abbia una qualche formazione di carattere giuridico, filosofico, storico, che la base di ogni totalitarismo moderno risiede proprio nella criminalizzazione, se possibile, di tutti i sudditi: se tutti sono in difetto, tutti sono condannabili. Se tutti sono condannabili, ogni oppositore potrà essere schiacciato in qualsiasi momento.
       Qui sta il problema: l'uomo qualunque, vivendo una pagina buia della storia, o non la comprende, o la minimizza, ci scherza, si sente comunque al sicuro; o ancora, capendola, non ha il coraggio di reagire: il socialismo sovietico ed il nazionalsocialismo, per restare vicini a noi, sono stati possibili proprio grazie all'ignavia dell'uomo qualunque.
       E in questo studio l'invito è proprio quello a ragionare, ad opporsi, a reagire a quella tendenza qualunquista che se inevitabilmente tenta tutti, nessuno escluso, non altrettanto inevitabilmente riesce a sopraffare chi sappia e voglia reagire.
       Venendo agli sconfinati orizzonti repressivi che la normativa europea apre, possiamo anzitutto considerare, più che verosimile, sicuro, il fatto che la nuova normativa verrà usata come strumento di lotta ideologica e politica.
       Poteri "forti", specialmente finanziarî - anche di matrice squisitamente criminale vista la crescente importanza, nel mondo "globalizzato", dei traffici illeciti della droga, delle armi, degli organi umani, dell'immigrazione clandestina, della prostituzione e della pedofilia - se ne avvarranno per togliere di mezzo avversarî, personaggi scomodi e magari - la possibilità è fuori discussione, e tanto basta - intere categorie sociali o di matrice spirituale o ideale che in un certo momento ritengono di ostacolo ai loro piani e programmi. A questo riguardo è istruttivo ricordare quanto il mondo della finanza sia profondamente e variamente coinvolto in quei traffici illeciti, a partire, come tutti sanno, dal riciclaggio del cosiddetto "danaro sporco". Per non parlare delle speculazioni sui titoli, le valute e le merci che a volte gettano nella miseria interi Paesi, di quelle manovre, cioè, di aggiotaggio che il codice penale italiano in parte prevede agli articoli 501 e 501 bis, comminando sanzioni, peraltro assai miti, che comunque non potranno mai neppure sfiorare gli speculatori dell'alta finanza internazionale i quali, vi è motivo di crederlo, ne ignorano persino l'esistenza.
       È dunque assai probabile che assisteremo all'accaparramento di piccoli Stati, o degli ordini giudiziarî di quegli Stati, o anche solo di tribunali e di corti, che diventeranno vere e proprie armi in mano delle "lobbies", anche se alla lunga è evidente che il potere finanziariocriminale più forte si imporrà su tutti gli altri. È tuttavia probabile che svariati di essi possano permanere alla sua ombra in posizione subordinata e nei limiti con cui non gli siano d'intralcio.
       Non è quindi azzardato prevedere battaglie a colpi di mandati di arresto fra grandi associazioni criminali e alla eliminazione da parte delle medesime di personaggi scomodi o sgraditi.
       In questo clima nessuno, assolutamente nessuno potrà sentirsi sicuro, e tanto meno lo potrà se riveste funzioni politiche, economiche o sociali di qualche sia pur modesto rilievo.
       Nell'Europa della proposta, la molteplicità dei sistemi penali e giudiziarî dei varî Stati assurgerà a parte importante del potere lobbistico. Infatti grazie ad essa, come si è visto, nessuno potrà sapere se una certa condotta sia penalmente perseguibile dalla legge, integrata dalla giurisprudenza, di uno dei varî Paesi dell'U.E., onde tutti i cittadini di quel coacervo eterogeneo di popoli si troveranno in stato di incriminabilità permanente.
       Per rendersi conto di ciò è bene tener presente, e su questo argomento torneremo più oltre, la deriva laicista e quindi giuspositivista che il diritto penale ha assunto dalla Rivoluzione francese in poi, ma a ritmo molto più accelerato negli ultimi decennî.
       In precedenza, invero, bastava che il cittadino, pur se analfabeta, si attenesse ai 10 Comandamenti, con le loro implicazioni ("non ammazzare" e quindi anche non ferire la persona, né lederne l'onore e la reputazione, "non rubare", divieto inteso nella sua variegata, ovvia estensione, "non fornicare", "non dir falsa testimonianza") per essere al sicuro dai rigori della legge. Oggi invece sono criminalizzate le condotte più eterogenee ed impensabili, mentre vengono depenalizzate o semidepenalizzate azioni come il furto semplice e la truffa, che in passato nessuno dubitava che costituissero reato. In questo contesto, Stati magari assai piccoli, accortamente manovrati, potranno introdurre per fattispecie particolari pene draconiane o produrre - tanto non c'è bisogno di prova - mandati di arresto su ordinazione.
       Stante l'assoluta insicurezza in cui verranno a trovarsi tutti i residenti nei Paesi dell'Unione, esposti a facili e imprevedibili colpi di mano, è ragionevole ritenere che i piloti e i giustizieri del nostro continente preferiranno manovrare le loro pedine da lontano, magari dagli USA e per via telematica.
       Risulta comunque evidente da quanto si è detto che quando il Consiglio dell'Unione Europea, al punto 5 dell'"Allegato" alla proposta, afferma, come si è detto e ripetuto, che il suo "obiettivo" è quello di fare dell'Europa un'area di "libera circolazione delle decisioni giudiziarie penali" vuole in realtà dire che intende farne un'area di libera e incondizionata circolazione di furgoni cellulari.


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