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       SEZIONE TERZA 
         
      APPROFONDIMENTI, PROSPETTIVE E CONSIDERAZIONI 
        QUALE SARÀ IL NOSTRO FUTURO? LE LEZIONI DEL PASSATO 
        
      I 
       IL MANDATO D'ARRESTO EUROPEO COME SEMPLICE TAPPA 
        VERSO LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE CONDANNE IN EUROLANDIA. ATTENZIONE: 
        INDIETRO NON SI TORNA! ADDIO ALLE SOVRANITÀ 
       
             La decisione 
        quadro europeista va letta in prospettiva. Va cioè considerata 
        come uno strumento transitorio, un ponte di passaggio suscettibile di 
        ulteriori sviluppi. Una disamina che prescindesse da questo dato sarebbe 
        incompleta e, in definitiva, mistificante. 
               Invero, nello stesso "Allegato", 
        che la precede, al punto 6 è espressamente scritto che il testo 
        legislativo in esame "costituisce la prima concretizzazione 
        nel settore del diritto penale del principio di riconoscimento reciproco". 
        Solo un primo passo, dunque, anche se un passo fatto con gli stivali dalle 
        sette leghe. Infatti al precedente punto 5 è detto chiaro e tondo 
        che "l'obiettivo dell'Unione di diventare uno spazio di libertà, 
        sicurezza e giustizia comporta" addirittura la "soppressione 
        dell'estradizione tra Stati membri" e la sua sostituzione con 
        un "sistema di consegna fra autorità giudiziarie", 
        trasformate in tal modo, nei loro segmenti preposti alle consegne dei 
        condannati e degli imputati, in autorità carcerarie. Non si vede 
        infatti, una volta tolto di mezzo ogni residuo controllo, che senso abbia, 
        quale funzione di garanzia di esatta applicazione della legge rivesta, 
        la presenza del giudice, se non quella stessa, puramente illusoria, che 
        abbiamo visto competere all'avvocato nella procedura di estradizione prevista 
        nella proposta. 
               Questo "obiettivo", 
        peraltro ampiamente anticipato dal Consiglio europeo di Tampere del 15-16 
        ottobre 1999, è molto importante perché non può non 
        incidere sull'interpretazione e quindi sulla applicazione della proposta 
        una volta che sarà diventata legge. Conoscendo, invero, la tendenza 
        e la meta del legislatore, la giurisprudenza sarà spinta ad interpretarla 
        alla luce dei già previsti sviluppi ed a muoversi fin dall'inizio 
        nella direzione da essi segnata. 
               Come conseguenza di ciò 
        le autorità giudiziarie dei paesi membri faranno uso assai parco 
        di quei "motivi di non esecuzione facoltativa" delle 
        domande di estradizione cui possono ricorrere a norma dell'articolo 4, 
        visto che sono destinati a venire abrogati. Comunque, quando anche questa 
        labile, precarissima barriera sarà abbattuta, vigerà 
        senza più limite alcuno il principio per cui il cittadino italiano 
        può venire estradato da qualsiasi giudice o pubblico ministero 
        di qualsiasi paese dell'Unione per un fatto compiuto, o che comunque si 
        sostenga essere stato compiuto in Italia, anche se per il suo diritto 
        nazionale tale fatto non costituisca reato e venga anzi considerato espressione 
        di un diritto costituzionalmente garantito. 
               Ne consegue che potrebbe persino 
        paradossalmente (ma realmente) non esservi più alcun (per quanto 
        precario) limite alla possibilità che una qualunque persona venga 
        tratta in arresto in forza di mandato europeo per un reato caduto in prescrizione 
        in base alla legge dello Stato di cui è cittadino e in cui lo ha 
        commesso (art. 4, par. 4) e a quella che venga contemporaneamente processata 
        in più Stati per lo stesso fatto ed estradata a tal titolo verso 
        uno di essi. E ciò anche ove si tratti, per tenerci alla nostra 
        linea esemplificativa, di reato commesso in Italia, da cittadino italiano 
        e per il quale sia in corso, o si sia già svolto, un processo davanti 
        all'autorità giudiziaria italiana (articolo 4, paragrafo 2)11. 
       
       
      11 
        In teoria, in base a principi generali del diritto condivisi dalla maggior 
        parte degli ordinamenti, vige la regola del ne bis in idem: una 
        persona non può essere condannata due volte per il medesimo fatto. 
        È altresì vero che scardinato il principio di diritto posi-tivo 
        e naturale del giudice naturale (si scusi la ripetizione), poiché 
        lo Stato estradante non ha mezzi per sindacare o circoscrivere a priori 
        il giudizio che si svolgerà nello Stato richiedente, diventa aleatoria 
        anche l'applicazione del ne bis in idem. Oltretutto, le dif-ferenze 
        fra i vari ordinamenti potrebbero consentire di aggirare tale principio, 
        prospet-tando la condanna già irrogata per lo stesso fatto come 
        condanna parziale, suscettibile di integrazioni. Il secondo giudizio, 
        in un altro Stato ed in base ad una diversa legisla-zione, pertanto, pur 
        non violando formalmente il ne bis in idem lo violerebbe nella 
        so-stanza. 
       
       
             Posta questa 
        possibilità di molteplici processi in Paesi diversi per un medesimo 
        fatto, ci si chiede: in caso di assoluzione in Italia e di condanna in 
        Svezia, quale delle due sentenze andrà eseguita? Pare evidente 
        che, nella logica del sistema, andrà eseguita quella di condanna. 
               È importante osservare 
        che la "soppressione dell'estradizione" e la sua sostituzione 
        con un "sistema di consegna fra le autorità giudiziarie" 
        farà venir meno ogni differenza tra le famose 32 ipotesi dell'articolo 
        2 della proposta, per le quali l'estradizione non può essere negata, 
        e tutte le altre figure di reato per le quali invece può essere 
        temporaneamente mantenuto il principio della doppia incriminazione. 
               Ne segue che l'accesa discussione 
        ingaggiata sull'esclusione o meno di talune di quelle 32 ipotesi, anche 
        a prescindere da tutto quanto sin qui si è detto sul tema, costituisce 
        una battaglia di pura retroguardia, fatalmente destinata allo scacco finale, 
        e per giunta a uno scacco imminente. 
               A questo riguardo va sottolineata 
        la capitale differenza con la vigente, pur discutibile, Convenzione europea 
        di estradizione del 13 dicembre 1957 che, come abbiamo visto, al capitolo 
        II della prima sezione, all'articolo 31, pur essendo così smisuratamente 
        meno invasiva, penetrante e vincolante e, pertanto, meno esposta al rischio 
        di abusi, riconosce agli Stati membri la facoltà di recesso. Ricordiamo 
        altresì che, come pure si è detto, tale Convenzione consente 
        (art. 2, 5° comma) di escludere dal suo ambito di applicazione determinate 
        categorie di reati, facoltà che, ovviamente, con l'adesione alla 
        proposta scompare irremissibilmente. 
       
        
      II 
         
      ADDIO LIBERTÀ PERSONALE, ADDIO "SOVRANITÀ 
        POPOLARE", ADDIO "DEMOCRAZIA", ADDIO COSTITUZIONE! 
       
             Nel capitolo 
        VI della seconda sezione abbiamo osservato che, una volta intervenuta 
        l'adesione alla proposta, né il Parlamento con voto unanime né 
        il popolo italiano, sia pure al 100% dei suoi elettori, potranno tornare 
        sul passo compiuto. 
               Così stando le cose ci 
        si chiede che senso abbia la parola "democrazia" e quindi cosa 
        conti il voto degli italiani, così come quello dei cittadini di 
        tutti gli altri Stati, nel quadro dell'Unione Europea quale la stessa 
        si viene configurando. Si stanno infatti centralizzando le funzioni e 
        mescolando le istituzioni e le leggi in un contesto per ora, e in attesa 
        di ulteriori ampliamenti, di 25 popoli parlanti quasi altrettante lingue 
        diverse e quindi in una situazione di pressoché completa incomunicabilità, 
        di difficilissima e rallentatissima circolazione delle idee, con problematiche, 
        tradizioni, interessi e sistemi giuridici diversificati e spesso confliggenti. 
        La questione non è certo di poco conto perché, anche restringendoci 
        al tema in esame, investe direttamente, al di fuori di ogni nostro concreto 
        potere di intervento, tutte le nostre libertà e coinvolge e travolge 
        tutte le strutture che, come abbiamo illustrato per sommi capi al capitolo 
        I della prima sezione di questo studio, sono state erette per tutelarle. 
               Abbiamo invero già visto 
        come la proposta di decisione quadro investa, addirittura abrogandole 
        - in modo del tutto atipico - importanti norme della Costituzione e in 
        particolare il primo comma dell'articolo 25, secondo cui "nessuno 
        può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge" 
        e, nella sua totalità, l'articolo 26, che pone il divieto 
        dell'estradizione del cittadino se non sia "espressamente previsto 
        dalle convenzioni internazionali", e comunque la esclude senza 
        eccezione per i reati politici. 
               Qualcuno obietterà forse 
        che il primo dei detti due divieti non è violato perché 
        è appunto in base a una Convenzione internazionale che il cittadino 
        verrà incondizionatamente estradato in uno qualsiasi dei, per ora, 
        25 Paesi dell'Unione Europea. Non è però chi non veda quanto 
        questa obiezione sarebbe formalistica e farisaica. La "ratio" 
        della norma costituzionale, invero, è evidentissimamente quella 
        di considerare l'estradizione del cittadino come un'eccezione e non certo 
        di farne la regola, tanto meno, poi, quando l'estradizione si riferisca 
        a "reati" "commessi" in Italia, eventualità 
        questa che l'Assemblea costituente non si prospettò neppure lontanamente 
        come possibile.  
               Giova qui aggiungere che l'articolo 
        25 è vulnerato a morte anche negli altri suoi due commi 
        che così suonano: 
               "Nessuno può 
        essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore 
        prima del fatto commesso. 
               Nessuno può essere sottoposto 
        a misure di sicurezza se non in forza di una legge che sia entrata 
        in vigore prima del fatto commesso". 
               È evidente che in entrambi 
        i commi quando il costituente parla di "legge" si riferisce 
        alla legge italiana che il cittadino deve conoscere, non certo all'ignota 
        legge, scritta nell'ignota lingua di qualche lontano Stato come appunto, 
        per un italiano - e il discorso, come sempre, vale anche in senso reciproco 
        - sono la Svezia, la Finlandia o la Grecia. 
               L'abolizione della doppia 
        punibilità e della competenza per territorio, assumono in definitiva 
        portata dirompente, scardinando uno dei gangli vitali del sistema penale 
        italiano: i principi, fra loro strettamente connessi, di legalità, 
        di tassatività, di irretroattività ed il divieto di analogia12. 
       
       
      12 
        Senza dilungarsi su questioni giuridiche e senza pretesa di completezza: 
        legalità significa che fattispecie criminose e pene debbono essere 
        previste solo con l'atto nor-mativo per eccellenza, cioè con legge, 
        affinché il procedimento di formazione della disciplina penale 
        sia sottoposto ad un rigoroso controllo parlamentare e sociale; tas-satività 
        significa che la norma deve prevedere con precisione e puntualità 
        la fattispecie criminosa sanzionata; irretroattività che la legge 
        penale può punire solo fatti successi-vi alla propria entrata in 
        vigore; il divieto di analogia impedisce al giudice di sanzionare casi 
        simili ma diversi da quelli espressamente contemplati in legge. Lo scopo 
        di questi principi è ovviamente quello di fissare i criteri basilari 
        per impedire che l'uso del diritto penale diventi strumento arbitrario 
        di repressione. 
       
       
             Questi quattro 
        principi - la cui copertura costituzionale ha rilievo di primissimo piano 
        (art. 25 Cost.), costituendo l'ossatura delle garanzie minimali 
        che il sistema penale italiano riconosce al cittadino - perdono completamente 
        di significato13. 
        Dunque, in definitiva, dell'intero articolo 25 della Costituzione e 
        dei vari corollari che se ne desumono e che tutte le trattazioni di diritto 
        penale italiano pongono a fondamento della civiltà del nostro sistema, 
        non ne rimane in piedi neppure uno. 
        Si deve concludere o che sino ad oggi tutti gli studiosi di diritto 
        penale abbiano insegnato amenità a generazioni di studenti in giurisprudenza, 
        o che l'U.E. abbattendo tali principi di civiltà sia portatrice 
        di una pericolosissima, nonché totalitaria, concezione del diritto 
        penale. 
       
       
       13 
        Anzitutto, quali garanzie sono contemplate nella proposta di mandato di 
        arresto europeo che questi principi vengano rispettati nei Paesi in cui 
        il "deviante" deve essere deportato? Nessuna. Il problema di 
        avere un'omogeneità di garanzie minimali per il deportato non è 
        affatto preso in considerazione dal legislatore europeo, preoccupatissimo 
        solo di disporre di mezzi repressivi di sconfinata potenzialità 
        e di schiacciare i reprobi. 
        In secondo luogo, se diventa possibile punire chi ignorava e non poteva 
        che ignorare di avere commesso un fatto previsto come reato dalle leggi 
        di un altro Stato - magari di qualche sperduto paese alla periferia dell'Europa 
        - è evidente che discutere di tassatività, di legalità, 
        ecc. rappresenta una finezza eccessiva: il diritto penale diventa un pretesto 
        per reprimere liberamente, diventa atto di pura ed incondizionata violenza. 
       
       
             Che di vera 
        e propria inciviltà e deriva totalitaria si tratti, nell'ottica 
        a tutt'oggi pacifica dei penalisti italiani, lo si vedrà meglio 
        più avanti esaminando le singole fattispecie criminose comunitarie, 
        delineate con voluta sciatteria (altroché tassatività), 
        per nulla definite nei loro contorni e nei loro presupposti, così 
        da consentire margini di manovra letteralmente sconfinati ai futuri inquisitori 
        dell'" Inquisizione Comunitaria". 
               Ma chi si fermasse ai soli articoli 
        25 e 26 si ingannerebbe di grosso. Senza pretesa di essere esaustivi richiamiamo 
        qui il 2° comma dell'articolo 24, cuore di tale disposizione 
        di legge: "La difesa è diritto inviolabile in ogni stato 
        e grado del procedimento". La domanda che ci si pone di fronte 
        alla entrata in vigore della proposta è questa: quale tipo di difesa 
        e come strutturata? Vale a dire: in base al diritto di quale Stato? Ovviamente, 
        nell'intenzione del costituente e fino ad oggi, in base al diritto italiano 
        che prevede una molteplicità di garanzie anche di recente, o abbastanza 
        recente, introduzione. Ricordiamo, a titolo di mero esempio, il cosiddetto 
        "tribunale della libertà" (rectius tribunale per il riesame), 
        di cui agli articoli 309 e seguenti del codice di procedura penale, che 
        interviene per verificare la legittimità o l'opportunità 
        delle misure cautelari, anche e soprattutto detentive, e cioè delle 
        misure applicate prima che sia intervenuta sentenza di condanna, nonché 
        le applicazioni provvisorie e preventive delle misure di sicurezza e i 
        sequestri, pure preventivi, di beni dell'imputato. Ricordiamo ancora tutto 
        il procedimento di sorveglianza che concerne l'esecuzione in concreto 
        della pena e in particolare l'applicazione delle cosiddette misure alternative 
        (detenzione domiciliare, ecc.). È una fase procedimentale che ha 
        assunto importanza via via crescente e cui sono preposti appositi tribunali. 
        Per non parlare di tutti gli altri diritti - per illustrare i quali ci 
        vorrebbe un apposito trattatello di procedura penale - che la legge italiana 
        riconosce alla difesa. 
               Con questo discorso non si vuol 
        prendere posizione sull'annosa polemica fra la corrente, sino ad oggi 
        di gran lunga maggioritaria, che spinge sempre più avanti le garanzie 
        della difesa, e chi trova invece che tale orientamento sia eccessivo ed 
        abbassi di troppo le esigenze della sicurezza della società e della 
        certezza della pena. 
               Qui si vuole solo dire che anche 
        la grande maggioranza degli "antigarantisti" non contesta affatto 
        il fondamentale principio del diritto alla difesa quale delineato dalla 
        legge italiana in molte sue importanti articolazioni, e comunque che nessuno 
        si è mai sognato di costringere l'imputato a un salto nel buio 
        affidandone le sorti a legislazioni ignote, remote e svariate. 
               Un'altra norma che viene travolta 
        dalla proposta di decisione quadro europeista è l'ultimo comma 
        dell'articolo 13 secondo il quale "la legge stabilisce 
        i limiti massimi della carcerazione preventiva". È evidente 
        che, ad estradizione avvenuta, tal limiti non saranno più quelli 
        previsti dalla legislazione italiana, bensì quelli dello Stato 
        emittente, ignoti - sino al dunque - all'estradando ed eventualmente molto 
        più estesi. 
               Un aspetto particolarmente sconcertante 
        per il giurista italiano è poi il radicale contrasto fra la proposta 
        in esame e l'articolo 111 della Costituzione. Ricordiamo al riguardo 
        che tale articolo è stato recentemente modificato, con l'accordo 
        di tutte le principali forze politiche, con legge costituzionale 23 novembre 
        1999 nr. 2, nell'intento di instaurare, sempre nel quadro di quella tendenza 
        garantista cui abbiamo accennato, il cosiddetto "giusto processo". 
        Giova sottolineare questo termine testuale, che peraltro sembra contenere 
        una forse eccessiva ed inopportuna valenza di condanna nei confronti di 
        tutta la procedura penale anteriore a tale riforma, qualificata indirettamente 
        come ingiusta. 
               Orbene, il concetto di "giusto 
        processo", che sta incidendo profondamente non solo sul diritto penale, 
        ma sul nostro sistema giuridico nel suo complesso, come è agevole 
        constatare dalla semplice lettura del citato articolo 111 nella sua nuova 
        formulazione, marcia in senso esattamente e radicalmente contrario 
        alla proposta del Consiglio dell'Unione Europea. 
               A questo punto ci si domanda 
        con quale coerenza sia possibile presentare il "giusto processo" 
        come un punto di arrivo, e di rinnovata partenza, come una preziosa conquista 
        della nostra civiltà giuridica, per poi accantonarlo come spazzatura 
        un paio di anni dopo passando da un garantismo esasperato all'arbitrio 
        più illimitato. Dov'è la coerenza del nostro sistema 
        e del nostro legislatore? 
               Forse - ma su ciò torneremo 
        in seguito - quella europeista è proprio una fede, e per giunta 
        una fede assurda che consente le più clamorose metamorfosi e i 
        più plateali stravolgimenti dei principî e dei concetti fondamentali 
        di giustizia e di libertà e, in ultima analisi, anche di società 
        civile. 
               Ma le contraddizioni fra la 
        proposta e la Costituzione non finiscono qui. È ben noto, infatti, 
        quale importantissima parte abbia rivestito e rivesta la materia penale 
        nella giurisprudenza della Corte costituzionale. Orbene, con la nuova 
        normativa sull'estradizione tale giurisprudenza, anche se potrà 
        formalmente proseguire, in concreto non conterà più un canonico 
        fico secco. Invero detta Corte, per ovvie ragioni di competenza, non potrà 
        mai permettersi di verificare la conformità o meno alla Costituzione 
        italiana delle norme giuridiche che sono a fondamento di un mandato di 
        arresto emesso da uno Stato estero anche - e ciò va tenuto sempre 
        ben presente - per un fatto avvenuto in Italia. 
               È un intero importantissimo 
        ramo della nostra Costituzione che in pratica viene reciso. 
               Alla luce delle considerazioni 
        sin qui svolte è inevitabile riconoscere che la proposta coinvolge 
        e travolge oltreché l'ultimo, anche il 1° e il 2° comma 
        del citato articolo 13 della Costituzione, che così suonano: 
               "La libertà personale 
        è inviolabile. 
               Non è ammessa forma alcuna 
        di detenzione di ispezione o di perquisizione personale, né qualsiasi 
        altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato 
        dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla 
        legge". 
               Di fronte al mandato di arresto 
        europeo invero, non ci si può non chiedere: da parte di chi è 
        "inviolabile" la libertà personale? Da quale "autorità 
        giudiziaria" deve provenire l'atto che decide su di essa? 
               E da quale "legge" 
        sono previsti i "casi e i modi" che legittimano la detenzione 
        e tutto il resto? Di più: la proposta esclude la motivazione da 
        parte dell'autorità giudiziaria straniera che chiede l'estradizione, 
        e quindi addio "atto motivato"! 
               A ben rifletterci la decisione 
        quadro incide sulla Costituzione italiana, come del resto su quella di 
        tutti gli altri popoli dell'U.E., anche al di là di questi pur 
        fondamentali principî ed articoli. Essa invero pone il principio 
        generale secondo cui le costituzioni degli Stati membri possono essere 
        modificate o implicitamente abrogate con semplici accordi internazionali, 
        diventando praticamente leggine di secondo piano. In tal modo vengono 
        svuotati di ogni significato tutti i complessi meccanismi previsti per 
        la loro modifica (per la Costituzione italiana, vedasi l'articolo 138)14. 
        Cade così, miseramente, con tutto il resto del palco, il 1° 
        articolo di quella che ancora oggi viene chiamata la nostra "Carta 
        fondamentale", laddove pone il principio secondo cui "la 
        sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle 
        forme e nei limiti della Costituzione". 
       
       
      14 
        Ci riferiamo qui alle Costituzioni dette "rigide" appunto perché 
        modificabili solo con particolari procedure e maggioranze. 
       
       
        
      III 
         
      LE RESISTENZE DI BERLUSCONI E IL SUO FINALE ACCORDO 
        COL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DELL'UNIONE EUROPEA VERHOFSTADT. DOMANDE 
        ANGOSCIOSE 
       
             Posta l'assoluta 
        inconciliabilità fra Costituzione italiana e proposta europea, 
        si pone un problema che concerne specificamente il nostro Paese, il cui 
        Presidente del Consiglio, sorprendentemente, è stato l'unico a 
        esprimere gravi riserve sul mandato di arresto internazionale. Premuto 
        da più parti, anche all'interno del Paese, egli infatti è 
        addivenuto col Presidente di turno del Consiglio, Verhofstadt, ad un accordo 
        il cui testo così suona: 
        1. "L'Italia accetta il mandato di cattura europeo definito dal 
        Consiglio        dei Ministri della 
        Giustizia ed Affari Interni del 6 dicembre 2001. 
        2. Al momento dell'adozione della decisione quadro il Consiglio prende- 
               rà atto della dichiarazione 
        seguente dell'Italia relativa all'articolo        26: 
               "Per dare esecuzione alla 
        Decisione Quadro sul mandato di cattu-        ra 
        europeo il Governo Italiano dovrà avviare le procedure di dirit- 
               to interno per rendere la Decisione 
        Quadro stessa compatibile con i        principî 
        supremi dell'ordinamento costituzionale in tema di diritti        fondamentali 
        e per avvicinare il suo sistema giudiziario ed ordina-        mentale 
        ai modelli europei, nel rispetto dei principî costituzionali". 
         
               La domanda che sorge, inevitabile, 
        dalla lettura di queste righe è la seguente: come è possibile 
        conciliare la "Decisione Quadro", e cioè la proposta 
        europeista, con "i principî supremi dell'ordinamento costituzionale 
        (ovviamente italiano) in tema di diritti fondamentali" 
        dal momento che si tratta di due termini fra loro non solo diversi, ma, 
        come si è visto, addirittura contrarî? Si vuole forse modificare 
        la Costituzione per adeguarla alla proposta? Ma ciò non si potrà 
        fare se non abrogando con le maggioranze previste dall'articolo 138 della 
        Costituzione "i principî supremi in tema di diritti fondamentali" 
        stabiliti dalla Costituzione stessa. E allora che razza di "principî 
        supremi" e che razza di "diritti fondamentali" sono mai 
        quelli che si vogliono cancellare con un voto parlamentare, sia pure a 
        maggioranza assoluta? Come si può proporre la soppressione di diritti 
        qualificati supremi e fondamentali, senza con ciò stesso ammettere 
        che si sta instaurando una spaventosa tirannide che calpesta e cancella 
        tali diritti? E quale giudizio si dovrebbe dare del Parlamento se a maggioranza 
        assoluta votasse la cancellazione dei diritti fondamentali del popolo 
        che esso rappresenta, e quindi, con mossa suicida, anche di quelli dei 
        proprî membri? 
               Ancora: come può un Capo 
        di Governo impegnarsi a promuovere la cancellazione dei diritti fondamentali 
        del popolo alla cui guida è preposto? O forse si deve dare prevalente 
        rilievo alla locuzione finale "nel rispetto dei diritti costituzionali" 
        considerati come insopprimibili? In tal caso l'impegno assunto ("l'Italia 
        accetta il mandato di cattura europeo") non vale assolutamente 
        nulla, perché nulla vi è, nei principî europeisti 
        quali vengono delineati dal detto mandato, che possa conciliarsi con quelli 
        costituzionali. Del resto da quando in qua una singola persona, sia pur 
        essa il Presidente del Consiglio dei Ministri, può da sola impegnare 
        l'intera Italia ("l'Italia accetta"), per giunta rovesciandone 
        la Costituzione e sopprimendo tutte le libertà civili dei suoi 
        cittadini? Il fatto che l'U.E. abbia, per così dire, estorto questo 
        impegno, dimostra in qual conto, al di là delle proclamazioni di 
        facciata, essa tenga i più elementari principî democratici. 
               Poste queste ovvie considerazioni 
        spaventa e sgomenta constatare che l'opposizione italiana, lungi dal censurare 
        questa troppo timida resistenza, per non dire questo grave e preoccupante 
        cedimento, la ha in gran parte propiziata premendo per un accoglimento 
        incondizionato del mandato di arresto europeo. 
       
        
      IV 
         
      L'IMPOTENZA DEGLI AVVOCATI DIFENSORI 
       
             Un settore 
        di capitale importanza che viene sconvolto dalla proposta, è il 
        ruolo dell'avvocato penalista nel sistema giudiziario europeo, ruolo che 
        sin qui abbiamo considerato solo con riferimento al suo intervento nella 
        procedura di estradizione (capitolo VII della seconda sezione). 
               Anche in questo settore si profilano 
        notevoli trasformazioni. 
               Oggi come oggi, invero, malgrado 
        la proliferazione caotica che, nonostante la recente normativa sulla depenalizzazione, 
        caratterizza l'attuale legislazione italiana anche in materia criminale, 
        il cittadino dubbioso può sempre recarsi dall'avvocato per sapere 
        se una data condotta sia o meno permessa dalla legge, o comunque se sia 
        penalmente perseguibile. 
               Con l'entrata in vigore della 
        normativa europea sull'estradizione nessuno studio o legale, per quanto 
        competente e attrezzato, sarà in grado di risolvere simili dubbî. 
        Quale collegio di giuristi, invero, per quanto numeroso e qualificato, 
        oltre ad essere in grado di conoscere tutte le lingue parlate nell'ambito 
        dell'Unione Europea, potrà orientarsi in tutte le legislazioni 
        dei venticinque Stati che la compongono, quando già è assai 
        difficile tener dietro alle continue novità legislative e alle 
        crescenti oscillazioni della sola giurisprudenza nazionale? 
               D'altronde a estradizione avvenuta, 
        una volta deportato in terra straniera, quasi nessuno potrà permettersi 
        le mostruose spese che comporterebbe il farsi seguire e assistere da un 
        difensore di propria fiducia. 
       
        
      V 
         
      PREVEDIBILI EFFETTI DELLA PROPOSTA SULLE LEGISLAZIONI 
        PENALI DEI SINGOLI STATI 
       
             La soppressione 
        del principio della competenza territoriale del giudice nei rapporti internazionali 
        rende illogica e contraddittoria la permanenza di tale principio all'interno 
        dei singoli Stati: se posso essere perseguito in Svezia o in Grecia per 
        un fatto commesso in Italia, a fortiori potrò esserlo a Roma per 
        un fatto commesso a Torino. 
               Questo solo rilievo è 
        sufficiente a far comprendere che la proposta europea è destinata 
        a incidere molto profondamente anche sui diritti nazionali interni di 
        cui stravolge i principî cardine. 
       
        
      VI 
         
      CONSIDERAZIONI SUGLI EFFETTI DELLA PROPOSTA IN PREVISIONE 
        DELL'ALLARGAMENTO DELL'U.E. AD ALTRI STATI, IN PARTICOLARE ALLA TURCHIA. 
        - ANCORA SULLA PENA DI MORTE 
       
             Uno degli aspetti 
        principali di cui va tenuto conto nel considerare le prevedibili applicazioni 
        della proposta è che, come si è accennato, l'Unione Europea 
        è un'unità politica in espansione dal momento che, oltre 
        ai 25 Stati che ormai ne fanno parte, molti altri hanno chiesto e altri 
        ancora chiederanno di aderirvi, ulteriormente e grandemente ampliando 
        l'area di applicazione della nuova disciplina sull'estradizione e dilatando 
        le problematiche che abbiamo sin qui considerato. 
               Ignorando le legislazioni dei 
        detti Stati è impossibile misurare le implicazioni, certamente 
        rilevanti, che deriveranno dalla loro adesione. 
               Per tenerci a un dato universalmente 
        noto ci limitiamo pertanto a ricordare che fra i Paesi in lista di attesa 
        figura anche la Turchia, che ha avanzato la propria domanda sin dal 14 
        aprile del 1987. Ora, l'accoglimento di tale domanda è tutt'altro 
        che improbabile. Si sono espressi invero, assai autorevolmente, in suo 
        favore Romano Prodi15 e lo 
        stesso Silvio Berlusconi, e premono in tal senso gli USA e tutto il potente 
        "establishment" laicista europeo e americano che vede nell'ingresso 
        della Turchia nell'U.E. un'occasione per negare che il denominatore spirituale 
        e storico che aggrega e fonda tale unità politica siano le comuni 
        radici cristiane dei popoli che la compongono. 
               Ora, è ben noto quali 
        siano le terribili condizioni in cui versano le carceri turche dove numerosissimi 
        detenuti, pur abituati a un livello di vita incomparabilmente più 
        misero e disagiato di quello occidentale, in preda all'esasperazione hanno 
        intrapreso uno sciopero della fame ad oltranza che alla fine del 2001 
        aveva già mietuto più di 50 vittime16. 
               Ma vi è molto di più: 
        la Turchia è un paese retto da un regime laicista instaurato dopo 
        la prima guerra mondiale da Kemal Ataturk, esponente della massoneria, 
        che condusse una vasta campagna di occidentalizzazione delle istituzioni 
        di quel Paese, giungendo sino ad abbattere, nel 1924, il califfato, punto 
        di riferimento dell'unità islamica di osservanza sunnita. Oggi, 
        però, l'impetuosa rinascita del cosiddetto "fondamentalismo" 
        islamico ha indebolito di molto il potere kemalista. Esso, invero, poggia 
        principalmente su una casta militare legata alle tradizioni massoniche 
        del fondatore, ma il Paese si sta orientando sempre di più verso 
        un ritorno all'Islam duro e puro. 
               Erdogan, infatti, è giunto 
        al potere proprio cavalcando - ignoriamo con quanta sincerità - 
        il cavallo della reislamizzazione della Turchia e per quanto si sforzi 
        di preservare i legami col mondo occidentale faticosamente tessuti dai 
        suoi predecessori, non può non tener conto del suo elettorato, 
        così come non può non tenerne conto la casta militare massonica 
        di alti ufficiali che custodisce l'eredità di Ataturk, ma che appare 
        sempre più isolata dalla stragrande maggioranza del popolo. Samuel 
        Huntington, nel suo libro "Lo scontro delle civiltà" 
        di cui tanto si parla, specialmente dopo l'attentato alle Twin Towers, 
        definisce la Turchia "un paese in bilico"17. 
       
       
             15 
      Che poi peraltro si è contraddetto, frenando gli entusiasmi europeisti 
      della Turchia e ricordando il detto italiano 
      "Mamma li turchi
" che evoca, con popolare e quasi ingenua 
      spontaneità, i macelli delle genti italiche (per tacere del 
      resto) che caratterizzarono per secoli la feroce espansione e le cruente 
      scorribande dell'Islam turco. 
             16 
      Cfr. il numero di gennaio 2002 della Rivista "Polizia penitenziaria", 
      inserto "Fatti di giustizia 2001", pag. VIII. 
             17 
      Samuel Huntington, "Lo scontro delle civiltà e il Nuovo Ordine 
      Mondiale", Garzanti ed., 1997, pag. 215. 
       
             La recentissima 
        guerra mossa dagli angloamericani contro l'Iraq ha reso questo "bilico" 
        molto più precario portando anche a una vistosa incrinatura dei 
        rapporti con gli USA. È peraltro prevedibile che la Turchia, che 
        recentemente ha soppresso la pena di morte con una precaria e sofferta 
        operazione di "lifting" occidentalizzante, non addivenga in 
        tempi brevi ad un ripristino integrale della "sharia" 
        - le cui regole e pene sono state rese famose dai talebani dell'Afghanistan 
        - perché i suoi dirigenti si sforzeranno, colle unghie e coi denti, 
        di mantenere un volto presentabile per poter "entrare in Europa". 
        Di tale ingresso, infatti, quello Stato ha estremo bisogno per poter scaricare 
        sui paesi dell'U.E. il peso della propria notoriamente disastrosa condizione 
        economico-finanziaria, anche inondandoli coi milioni dei suoi disoccupati 
        e sottooccupati. In questo suo programma è prevedibile che non 
        perderà l'appoggio degli USA, cui preme creare difficoltà 
        alla concorrenza europea, e neppure quello, ideologicamente motivato, 
        di quei superlaicisti di cui si è detto. Costoro si oppongono alla 
        inserzione nella nascente Carta costituzionale dell'Unione europea di 
        un sia pur molto platonico richiamo alle radici storiche cristiane dei 
        popoli europei, in prospettiva anche di un allargamento agli Stati islamici 
        del Nord Africa. 
               Ad ingresso avvenuto, però, 
        tutto sarà possibile, a partire dal ripristino della pena di morte. 
        E non è affatto detto che gli organi comunitarî - le cui 
        ambiguità riguardo a tale pena abbiamo già considerato al 
        capitolo V della seconda sezione, e le cui propensioni liberticide stiamo 
        con sgomento considerando - non siano pronti a prenderne atto nelle preannunciate 
        riforme estensive in materia di estradizione. Ciò, del resto, con 
        coerente applicazione del progettato "sistema di libera circolazione 
        delle decisioni penali". 
       
        
      VII 
         
      ESTRADIZIONE O DEPORTAZIONE? 
       
             Al capitolo 
        IV di questa terza sezione abbiamo definito l'estradato un "deportato". 
        Questa definizione non paia eccessiva. 
               Si consideri, infatti, la condizione 
        di una persona prelevata dalla sua città o dalla sua terra, trasportata 
        di forza in un paese straniero dove non ha alcun riferimento parentale, 
        amicale e professionale, di cui il più delle volte ignora persino 
        la lingua e dove, a sua volta, è a tutti sconosciuta, mentre assai 
        difficilmente i suoi congiunti potranno andare a visitarla e a darle qualche 
        conforto. 
               Si aggiungano le difficoltà 
        di questo sventurato nel preparare una difesa di fronte ad atti processuali 
        redatti in una lingua che non conosce e con l'assistenza, se potrà 
        averla, di legali che non lo comprendono. Il tutto sotto la minaccia di 
        ulteriori trasferimenti verso altre ignote destinazioni e sotto il peso 
        di altri, del pari ignoti, capi d'accusa. 
               Nella sua terra, fuorché 
        dai suoi cari, egli sarà tosto dimenticato. Il suo processo in 
        un Paese che lo ignora e si disinteressa totalmente di lui, si celebrerà 
        nel silenzio e nell'ombra, senza controllo alcuno della pubblica opinione. 
        Difficilissimo, poi, per chi non ha dovizia di mezzi, risulterà 
        avvalersi della possibilità di impugnazione offerta dal sistema 
        penale dello Stato emittente. 
               Chi ben rifletta su queste 
        angosciose circostanze non potrà non convenire che, nel quadro 
        normativo della "proposta", estradizione sarà assai spesso, 
        per non dire sempre, sinonimo di deportazione. 
       
        
      VIII 
         
      PANORAMI PREVEDIBILI E INQUIETANTI DELLA GLOBA-LIZZAZIONE 
        GIUDIZIARIA 
       
             Le considerazioni 
        sin qui svolte ci consentono di delineare gli scenarî che saranno 
        resi possibili dall'entrata in vigore della proposta. 
               Le possibilità di criminalizzare 
        chiunque - al contempo privandolo di ogni reale mezzo di difesa - che 
        scaturiscono da detta proposta europea, sono sconfinate; lo si vedrà 
        ancora più approfonditamente trattando della (volutamente) approssimativa 
        tipizzazione dei crimini comunitari: non si dica quindi che le prospettive 
        qui prefigurate sono eccessive. La storia conosce già leggi di 
        amplissima portata criminalizzatrice e, guarda caso, queste leggi hanno 
        rappresentato il presupposto per legittimare lo scatenarsi di feroci repressioni 
        - sono i casi più famosi - nella Francia rivoluzionaria dell'epoca 
        del terrore, o ancora nell'Unione Sovietica 
 
               Si vedrà, ad es. attraverso 
        un'interessante analisi di Solgenitsin, che per tradurre in realtà 
        il paradosso il legislatore sovietico approntò proprio una normativa 
        di larghissima portata. Anche in un'ottica di comparazione con il passato, 
        dunque, la proposta di mandato di cattura europea è talmente grezza, 
        e potenzialmente molto più oppressiva rispetto agli stessi 
        principi che mossero la "giustizia" rivoluzionaria, che qualunque 
        studente di giurisprudenza - anche solo nella fase di un primo approccio 
        con i principî generali di diritto penale - dovrebbe inorridire 
        di fronte a un tanto grave capovolgimento di prospettive. Non è 
        credibile che il legislatore europeo sia vittima di un'ignoranza tanto 
        crassa dei principi generali del diritto naturale ed al contempo che ignori 
        la storia ed i meccanismi di oppressione delle tirannidi più recenti. 
               È noto infatti a chiunque 
        abbia una qualche formazione di carattere giuridico, filosofico, storico, 
        che la base di ogni totalitarismo moderno risiede proprio nella criminalizzazione, 
        se possibile, di tutti i sudditi: se tutti sono in difetto, tutti sono 
        condannabili. Se tutti sono condannabili, ogni oppositore potrà 
        essere schiacciato in qualsiasi momento. 
               Qui sta il problema: l'uomo 
        qualunque, vivendo una pagina buia della storia, o non la comprende, o 
        la minimizza, ci scherza, si sente comunque al sicuro; o ancora, capendola, 
        non ha il coraggio di reagire: il socialismo sovietico ed il nazionalsocialismo, 
        per restare vicini a noi, sono stati possibili proprio grazie all'ignavia 
        dell'uomo qualunque. 
               E in questo studio l'invito 
        è proprio quello a ragionare, ad opporsi, a reagire a quella tendenza 
        qualunquista che se inevitabilmente tenta tutti, nessuno escluso, non 
        altrettanto inevitabilmente riesce a sopraffare chi sappia e voglia reagire. 
               Venendo agli sconfinati orizzonti 
        repressivi che la normativa europea apre, possiamo anzitutto considerare, 
        più che verosimile, sicuro, il fatto che la nuova normativa verrà 
        usata come strumento di lotta ideologica e politica. 
               Poteri "forti", specialmente 
        finanziarî - anche di matrice squisitamente criminale vista la crescente 
        importanza, nel mondo "globalizzato", dei traffici illeciti 
        della droga, delle armi, degli organi umani, dell'immigrazione clandestina, 
        della prostituzione e della pedofilia - se ne avvarranno per togliere 
        di mezzo avversarî, personaggi scomodi e magari - la possibilità 
        è fuori discussione, e tanto basta - intere categorie sociali o 
        di matrice spirituale o ideale che in un certo momento ritengono di ostacolo 
        ai loro piani e programmi. A questo riguardo è istruttivo ricordare 
        quanto il mondo della finanza sia profondamente e variamente coinvolto 
        in quei traffici illeciti, a partire, come tutti sanno, dal riciclaggio 
        del cosiddetto "danaro sporco". Per non parlare delle speculazioni 
        sui titoli, le valute e le merci che a volte gettano nella miseria interi 
        Paesi, di quelle manovre, cioè, di aggiotaggio che il codice penale 
        italiano in parte prevede agli articoli 501 e 501 bis, comminando sanzioni, 
        peraltro assai miti, che comunque non potranno mai neppure sfiorare gli 
        speculatori dell'alta finanza internazionale i quali, vi è motivo 
        di crederlo, ne ignorano persino l'esistenza. 
               È dunque assai probabile 
        che assisteremo all'accaparramento di piccoli Stati, o degli ordini giudiziarî 
        di quegli Stati, o anche solo di tribunali e di corti, che diventeranno 
        vere e proprie armi in mano delle "lobbies", anche se alla lunga 
        è evidente che il potere finanziariocriminale più forte 
        si imporrà su tutti gli altri. È tuttavia probabile che 
        svariati di essi possano permanere alla sua ombra in posizione subordinata 
        e nei limiti con cui non gli siano d'intralcio. 
               Non è quindi azzardato 
        prevedere battaglie a colpi di mandati di arresto fra grandi associazioni 
        criminali e alla eliminazione da parte delle medesime di personaggi scomodi 
        o sgraditi. 
               In questo clima nessuno, 
        assolutamente nessuno potrà sentirsi sicuro, e tanto meno 
        lo potrà se riveste funzioni politiche, economiche o sociali di 
        qualche sia pur modesto rilievo. 
               Nell'Europa della proposta, 
        la molteplicità dei sistemi penali e giudiziarî dei varî 
        Stati assurgerà a parte importante del potere lobbistico. Infatti 
        grazie ad essa, come si è visto, nessuno potrà sapere se 
        una certa condotta sia penalmente perseguibile dalla legge, integrata 
        dalla giurisprudenza, di uno dei varî Paesi dell'U.E., onde tutti 
        i cittadini di quel coacervo eterogeneo di popoli si troveranno in stato 
        di incriminabilità permanente. 
               Per rendersi conto di ciò 
        è bene tener presente, e su questo argomento torneremo più 
        oltre, la deriva laicista e quindi giuspositivista che il diritto penale 
        ha assunto dalla Rivoluzione francese in poi, ma a ritmo molto più 
        accelerato negli ultimi decennî. 
               In precedenza, invero, bastava 
        che il cittadino, pur se analfabeta, si attenesse ai 10 Comandamenti, 
        con le loro implicazioni ("non ammazzare" e quindi anche non 
        ferire la persona, né lederne l'onore e la reputazione, "non 
        rubare", divieto inteso nella sua variegata, ovvia estensione, "non 
        fornicare", "non dir falsa testimonianza") per essere al 
        sicuro dai rigori della legge. Oggi invece sono criminalizzate le condotte 
        più eterogenee ed impensabili, mentre vengono depenalizzate o semidepenalizzate 
        azioni come il furto semplice e la truffa, che in passato nessuno dubitava 
        che costituissero reato. In questo contesto, Stati magari assai piccoli, 
        accortamente manovrati, potranno introdurre per fattispecie particolari 
        pene draconiane o produrre - tanto non c'è bisogno di prova - mandati 
        di arresto su ordinazione. 
               Stante l'assoluta insicurezza 
        in cui verranno a trovarsi tutti i residenti nei Paesi dell'Unione, esposti 
        a facili e imprevedibili colpi di mano, è ragionevole ritenere 
        che i piloti e i giustizieri del nostro continente preferiranno manovrare 
        le loro pedine da lontano, magari dagli USA e per via telematica. 
               Risulta comunque evidente da 
        quanto si è detto che quando il Consiglio dell'Unione Europea, 
        al punto 5 dell'"Allegato" alla proposta, afferma, come si è 
        detto e ripetuto, che il suo "obiettivo" è quello 
        di fare dell'Europa un'area di "libera circolazione delle decisioni 
        giudiziarie penali" vuole in realtà dire che intende farne 
        un'area di libera e incondizionata circolazione di furgoni cellulari. 
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