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IX

L'EUROLATRIA

       Una delle cause del silenzio che copre l'avanzata del "monstrum" giuridico che stiamo commentando è indubbiamente l'eurolatria. L'opinione pubblica è stata abituata da decenni di propaganda mass-mediatica a considerare l'unificazione dell'Europa come un luminoso traguardo. Tutto ciò che porta ad essa e alla conseguente, rapida erosione dell'autonomia degli Stati che la compongono è considerato un progresso, tutto ciò che vi si oppone, o anche solo le pone dei limiti, un ostacolo da eliminare.
       In questo clima di euroentusiasmo le immense problematiche derivanti dall'unificazione di Paesi diversissimi per lingua, costumi e strutture economico-sociali, vengono disinvoltamente trascurate.
Chi le solleva è guardato di malocchio come uomo di poca fede, e ben pochi pongono mente al fatto che già gli attuali Stati nazionali peccano per un centralismo e un burocratismo livellatori che non tengono in adeguato conto le situazioni locali, e stabiliscono eccessive distanze fra governanti e governati, consentendo ai primi spregiudicate o avventate manovre.
       Nonostante ciò il centralismo europeista, enormemente più remoto, capace tra l'altro di buttare a terra l'economia di intere nazioni, non spaventa.
       La vicenda delle quote latte venuta alla ribalta per la clamorosa protesta degli allevatori italiani e per la loro impossibilità di ottenere ascolto da un'autorità ignota, inaccessibile e insensibile, pur essendo solo la punta di un iceberg - perché altre categorie (basti pensare ai pescatori) hanno subito e taciuto, o protestato con minor vigore - non ha intaccato la universale fede europeista.
       Persino l'introduzione dell'euro, costata prima robuste "stangate" da parte di chi la indicava come un sicuro porto di benessere, per raggiungere il quale valeva la pena di affrontare rilevanti sacrifici, e rivelatasi poi causa di drastici aumenti del costo della vita, e quindi di notevole impoverimento, non solo non ha scosso quella fede, ma neppure ha inciso sulla popolarità di coloro che avevano pilotato l'operazione su scala nazionale.
       Assistiamo ora al paradosso che, nel quadro dell'eurolatria, anche i nazionalisti diventano europeisti nella speranza che, congiunte le forze, l'Unione Europea posa strappare agli USA la loro egemonia politica e militare. Tale paradosso appare tanto maggiore in quanto nelle scuole si continuano a magnificare le glorie del Risorgimento e delle cosiddette "Guerre di indipendenza" che avrebbero avuto il grande merito di liberare una parte del suolo italiano da una antica autorità sovrannazionale, l'Impero asburgico - erede del Sacro Romano Impero, artefice col Papato
dell'Europa - infinitamente meno oppressivo, vorace e centralizzatore dell'Unione Europea.

 

X

ALL'INSEGNA DELL'IPOCRISIA LEGISLATIVA

       Un aspetto sconcertante della proposta della decisione quadro è l'ipocrisia legislativa che la caratterizza. L'ultimo capoverso del punto 12 del suo Allegato, invero, così suona:
       "La presente decisione non osta a che gli Stati membri applichino le loro norme costituzionali al giusto processo, alla libertà di associazione, alla libertà di stampa e alla libertà di espressione negli altri mezzi di comunicazione". Ci si domanda: come può il mandato di arresto europeo non ostare a quelle libertà, oltreché a tutte le altre, dal momento che, come si è visto, può essere emesso senza alcuna motivazione da un qualsiasi giudice di un qualsiasi paese dell'Unione per fatti che si affermano "commessi" anche nelle località più lontane dal giudice stesso, anche se detti fatti sono perfettamente leciti per lo Stato in cui il malcapitato estradando li ha posti in essere? Tanto più che, come vedremo al capitolo XII, la diciassettesima di quelle 32 previsioni dell'articolo 2 della proposta, il richiamo alle quali rende l'estradizione praticamente automatica, mette in mano ad ogni giudice
comunitario uno strumento di illimitata criminalizzazione di qualsiasi manifestazione scritta od orale di pensiero in materia politica, religiosa o sociale.
       La menzione poi del "giusto processo" che, si ripete, nell'ordinamento italiano è regolato dal nuovo articolo 111 della Costituzione e che si caratterizza per il suo spinto garantismo, ovviamente correlato a tutto il contesto della legislazione nazionale e dei diritti della difesa in esso previsti, suona irrisione e sberleffo.
       Si legge bensì, nell'"Allegato" che "nessun elemento della presente decisione quadro può essere interpretato nel senso che non sia consentito di rifiutare di procedere alla consegna di una persona che forma oggetto di un mandato d'arresto europeo quando sussistano elementi oggettivi per ritenere che il mandato di arresto sia stato emesso al fine di perseguire penalmente o punire una persona a causa del suo sesso, della sua razza, religione, origine etnica, nazionalità, lingua, opinione politica o delle sue tendenze sessuali" (pag. 4). Il problema che si pone, però, è quale significato pratico e concreto possa avere questo discorso quando alla pagina precedente, come abbiamo visto poc'anzi, si afferma che: "l'obiettivo dell'Unione…comporta la soppressione dell'estradizione tra Stati membri che deve essere sostituita da un sistema di consegna (evidentemente incontrollato e automatico, N.d.A.) tra autorità giudiziarie" (pag. 3).
       Ci troviamo evidentemente di fronte a una, per giunta maldestra, cortina fumogena di parole, ad un trucco verbale per indorare la pillola e occultare il totale capovolgimento di principî fin qui proclamati come fondamentali e irrinunciabili.
       Del resto, anche a prescindere da questa peraltro di per sé decisiva dichiarazione di intenti18, va detto che non si vede come nella procedura stabilita nella proposta possano venire alla luce gli "elementi oggettivi" da cui si dovrebbe desumere il fine persecutorio e pretestuoso del mandato. Si è già detto, invero, che detto documento, a norma dell'articolo 9, enuncia solo il fatto e la pena irrogata o l'imputazione, ma non contiene, e non deve contenere, la minima indicazione sugli elementi di prova, che comunque non possono formare oggetto di discussione. In realtà il legislatore europeo è tutto proteso a far eseguire le estradizioni con la massima urgenza, togliendo, come si è visto, ogni spazio alla difesa, e lo dice espressamente. Il primo paragrafo dell'articolo 17, infatti, così suona: "un mandato di arresto europeo deve essere trattato ed eseguito con la massima urgenza". E l'articolo 18, pure al primo paragrafo, rincalza: "il ricercato è consegnato al più presto a una data concordata tra le autorità interessate".


18 Che, come si è visto, è conforme alle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 15-16 ottobre 1999, richiamate nello stesso "Allegato" (pag. 2), ma perfettamente ignote al 999,99 per mille dei cittadini europei ai quali pure riguarda così da vicino.

       Tale è la preoccupazione che i mandati di arresto siano puntualmente eseguiti che l'articolo 27, all'ultimo paragrafo, addirittura prevede una specie di esame da parte del Consiglio, in veste di controllore e giudice, sullo zelo e l'obbedienza degli Stati membri nell'esecuzione della proposta: "il Consiglio valuta in che misura gli Stati membri si siano conformati alla presente decisione quadro". Dove una volta di più la sovranità degli Stati e dei popoli scompare, venendo subordinata ad un potere sempre più distante e verticistico che tutto delibera e dispone senza consultare gli elettorati.
       Il culmine dell'ipocrisia legislativa si raggiunge dove, al punto 5 dell'allegato, si afferma che questa inaudita riforma è diretta a fare dell'U.E. "uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia", così definendo, con sconcertante improntitudine, un'area politica in cui nessuno può sapere ciò che domani lo aspetta, perché può perdere la propria libertà, se non peggio, ad arbitrio del più lontano giudice di un paese a lui ignoto che parla una lingua a lui sconosciuta. In questo felice spazio ognuno dovrà muoversi e parlare con estrema circospezione, sia in campo politico che imprenditoriale, per non incorrere nelle ire di qualche potente "lobby" o gruppo che ha programmi, idee ed interessi in contrasto coi suoi.
       A estrema irrisione, nella relazione al progetto precedente alla proposta, si leggeva, al punto 3 (pag. 45): "c'è da rallegrarsi di tali iniziative (quelle appunto relative all'estradizione, N.d.A.) che evidenziano la fiducia che i sistemi giudiziari degli Stati membri si accordano fra loro"!
       Il concetto di "elevato livello di fiducia fra gli Stati" viene ripreso, anche se in termini meno apologetici, dall'Allegato alla proposta.

 

XI

PARLIAMO UN PO' DEL FAMIGERATO ARTICOLO 2. IN PARTICOLARE DEL "TERRORISMO"

       Come si è detto, l'elenco dei "reati" previsti dall'articolo 2, 2° comma della proposta, per i quali l'estradizione non può essere negata se non eccezionalmente ha una importanza pratica assai minore di quella che il governo italiano le ha attribuito, sia perché di massima la procedura in esame si applica a quasi tutti gli altri reati, sia perché è già preventivato l'abbattimento di ogni residuo limite all'esecuzione dei mandati e delle sentenze di un qualsiasi giudice dell'U.E.. Riteniamo tuttavia utile un sia pur sommario commento al detto elenco. Esso, infatti, rivela una tecnica legislativa e degli orientamenti che gettano molta luce sugli obiettivi e sui principî ispiratori del legislatore europeo incidendo profondamente sugli stessi concetti di delitto e di diritto.
       L'aspetto di quella lista che più colpisce il lettore è invero quello della genericità indeterminata e indeterminabile, e quindi capace di criminalizzare le condotte più disparate, di svariate sue previsioni. Tale genericità è esaltata dal fatto che le figure, già molto approssimativamente previste, vanno correlate alle diverse legislazioni di ben 25 Stati, salvo ulteriori estensioni ad altri paesi, quali ad esempio la Turchia, le cui legislazioni si ispirano a principî anche radicalmente diversi da quelli che caratterizzano il nostro sistema giuridico. Ora, le "lobbies" europeiste non ignorano questi problemi: ogni giorno nell'U.E. si tocca con mano la impressionante dinamica per cui un vocabolo, se usato nella sua accezione giuridica, assume significati enormemente diversi nei vari ordinamenti.
       L'U.E., pertanto, ben sa quali margini di manovra dispotica siano insiti nel criminalizzare genericamente su scala europea condotte non ben meglio precisate. Lo sa e sa anche che una tale scelta distrugge la certezza del diritto nella materia - quella del diritto penale - che più di ogni altra, per tradizione, richiede certezza. Questa certezza è e fu voluta per evitare una degenerazione tirannica del potere. Perché le "lobbies" europeiste si accingono ad abbatterla con tanta virulenta rapidità? La risposta sta nella domanda stessa.
       Venendo ad una disamina concreta, ci si domanda, ad esempio, quale sterminata estensione possa avere l'ottava previsione, quella di "frode", che sfidiamo qualsiasi uomo di legge a definire e circoscrivere. Procedendo alla rinfusa, lascia disorientati anche la ventesima previsione, "truffa", che nelle varie legislazioni potrebbe estendersi fino a comprendere una modesta evasione fiscale, o l'assegno a vuoto, oppure l'atto del barista che, ordinatogli dal cliente un certo amaro digestivo, non avendolo, ne serve uno di marca diversa. E quale concreto contenuto si potrà ascrivere alla isolata parola "corruzione" - settima previsione - dal momento che non si specifica neppure se con tale vocabolo ci si riferisca solo alla corruzione di un pubblico ufficiale o anche a quella di un privato? Si può infatti corrompere, ad esempio, anche un amministratore di condominio nell'appalto dei relativi lavori. Nemmeno è dato capire se, perché possa parlarsi di "corruzione", debba per forza aversi una dazione o promessa di denaro o di altra utilità economicamente valutabile o se basti invece la raccomandazione, riuscita o non riuscita, o il favore fatto a un amico.
       Continuando a saltabeccare fra le evanescenti, fantasmatiche figure che il legislatore europeo ha l'ammirevole coraggio di definire "reati" quasi fossero fattispecie chiaramente individuabili, alla ventiduesima previsione ci si imbatte nella espressione "pirateria in materia di prodotti". Una volta di più l'interprete non può che restare sgomento: ci troviamo invero di fronte a una sorprendente novità giuridica che, almeno nel diritto italiano, ma crediamo anche in quello, se non di tutti, almeno della maggioranza dei Paesi europei, non ha riscontro né precedenti. Infatti la parola "pirateria" vien qui usata al di fuori del suo significato proprio, quindi in un'accezione così indeterminata e indeterminabile - da linguaggio giornalistico e non certo giuridico - che per immaginare quali fatti concreti possano rientrare in tale previsione si richiederebbero sforzi di fantasia e disquisizioni tali da riempire un intero trattato, tutto, peraltro, all'insegna di invincibili dubbî.
       Tanto più che anche la parola "prodotti" brilla per la sua indeterminatezza: vi sono prodotti dell'industria e dell'agricoltura, ma anche prodotti dell'ingegno, riconosciuti da tutte le legislazioni: romanzi, poesie, canzoni, musiche, saggi letterari, libri e articoli scientifici, brevetti e invenzioni non brevettate. Per fare un esempio fra i tanti, non sembra irragionevole sostenere che nella figura "criminosa" in esame possa rientrare la condotta di chi riproduce una musicassetta o un programma per computer, scavalcando i diritti d'autore.
       E che si intende - dodicesima previsione - per "criminalità ambientale"? È, o può essere, un "crimine ambientale" non rispettare le regole della raccolta differenziata dei rifiuti, violare il divieto di calpestare un prato, lasciare per terra in un bosco, o in un'area classificata fra quelle di rilievo naturalistico, i rifiuti di un picnic? È sufficiente che la legge di uno dei 25 Stati dell'Unione preveda, ora o in futuro, tali condotte come reati perché il mandato di arresto europeo possa scattare nei confronti di un cittadino di uno qualsiasi degli altri Paesi. E come potrò difendermi dall'imputazione (possibilissima in astratto, anche se assurda) elevatami da un giudice lituano di avere abbandonato su una spiaggia dell'Andalusia i rifiuti di un picnic?
       Per quanto le figure di "reato" fin qui passate in rassegna possano apparire sgomentevoli per la loro elasticità e genericità, ve ne sono tre che sotto questo profilo soverchiano tutte le altre per la loro quasi illimitata possibilità di estensione.
       Alludiamo alla seconda "terrorismo", alla trentaduesima e ultima, "sabotaggio", e alla diciassettesima, "razzismo e xenofobia".
       Limitandoci in questo capitolo alle prime due, per illustrare la capacità espansiva della previsione "terrorismo" così sinteticamente formulata, capacità che sfugge a una prima lettura, richiamiamo l'attenzione sul significato che a tale vocabolo hanno ascritto due colonnelli superiori dell'aereonautica cinese, Qia Ling e Wang Xiangsui, in un libro famoso "Guerra senza limiti" commentato e sintetizzato nel "quaderno" del 26.11.2001 della prestigiosa rivista di geopolitica "liMes" del gruppo editoriale "L'Espresso", intitolato "Nel mondo di Bin Laden".
       In tale opera, divenuta ormai un classico, apprezzata e riconosciuta dai comandi di tutti gli eserciti, quei due militari illustrano quanto il concetto di guerra e conseguentemente quello di terrorismo, si siano oggi ampliati al punto di cambiare completamente il panorama dei conflitti fra Stati o anche fra Stati e organizzazioni non statuali.
       Come esempio paradigmatico ed estremo di "terrorismo" atipico, non a base di bombe o di veleni, e tuttavia ancor più distruttivo, essi citano, e sarebbe difficile dar loro torto, il famoso finanziere ebreo ungherese, cittadino degli USA, dove risiede e gestisce il suo fondo di investimento, Giorgio Soros:
       "un grande caimano della finanza, come Soros, con un volume di affari in capitale flottante di oltre 120 miliardi di dollari, ha usato strumenti derivativi e sfruttato la deregolamentazione (dei mercati finanziari, N.d.A.) per mutare più volte atteggiamento e fomentare il caos con manovre spregiudicate, così da provocare un terremoto finanziario dopo l'altro. In questo modo l'area dei paesi colpiti si è estesa dal Sud-Est asiatico alla Russia e poi al Giappone, per arrivare infine all'Europa e agli Stati Uniti che stavano alla finestra e non hanno potuto sottrarsi allo stesso destino col risultato che il sistema finanziario e l'ordine economico internazionale sono stati profondamente scossi e tutto questo si è trasformato in un nuovo disastro che sta minacciando il mondo e la sicurezza globale"19. Il terrorismo degli "speculatori internazionali", di cui Soros è il modello più macroscopico e clamoroso - sostengono quegli autori - fa impallidire quello dei terroristi bombaroli, e "stando alle loro azioni e alle conseguenze disastrose che hanno prodotto in Inghilterra, in Messico e nel Sud-Est asiatico, nessuno di quei brutti ceffi, come bin Laden e gli altri "banditi", può stare alla pari con loro"20. Buttare nella miseria e nella disoccupazione, e spesso nella fame e nella disperazione, intere nazioni o intere classi sociali è ben più devastante di un attentato a base di esplosivi con qualche decina di morti.


19 "Nel mondo di Bin Laden", quaderno di "liMes", "rivista italiana di geopolitica del gruppo editoriale «L'Espresso»", pagg. 103-104.
20 Id., pag. 103.

       Obietterà forse il lettore che proprio questo è il tipo di terrorismo che mai sarà colpito dal mandato d'arresto europeo, e che anzi, probabilmente, attraverso i suoi canali di corruzione, si servirà di esso come ulteriore strumento di prevaricazione, oppressione e, appunto, terrore.
       Siamo perfettamente d'accordo. Tuttavia questo esempio ci serve a dimostrare quanto evanescente, pur ad un esame severo e spassionato, possa essere il concetto di errorismo.
       Anche perché, posto che i varî Soros non operano da soli, ma si avvalgono necessariamente di numeroso personale e di strutture anche bancarie, è difficile dire dove finisca la complicità dei loro dipendenti.
       La nuova guerra - e ovviamente con essa anche il nuovo terrorismo - affermano Liang e Xiangsui "va ben oltre il semplice uso di strumenti militari per costringere il nemico a sottoporsi alla propria volontà. E contempla l'impiego di qualsiasi mezzo, militare e non, cruento e incruento, per piegare il nemico ai proprî disegni"21.
       In quest'ottica anche uno sciopero generale, o comunque relativo a un settore critico, e cioè di grande rilievo sociale od economico - come ad esempio quello dei trasporti - può essere considerato un atto terroristico addebitabile quantomeno a capi - non è sempre facile colpire ribelli in massa - organizzatori, personaggi di rilievo e scomodi.
       Dopo aver indicato i "pirati" informatici come esponenti tipici del nuovo terrorismo, capaci di "mettere a repentaglio la sicurezza di un esercito o di una nazione"22, i nostri Autori proseguono: "oltre a quanto abbiamo già osservato possiamo indicare molti altri mezzi e metodi utilizzati per combattere una guerra (e quindi anche per attuare un terrorismo, N.d.A.) non militare, alcuni dei quali già esistenti, ed altri possibili in futuro. Fra questi la guerra psicologica (diffondere voci allarmanti per intimidire il nemico e piegare la sua volontà), la guerra degli stupefacenti (realizzare enormi profitti illeciti seminando disastri in altri paesi), la guerra contro i network (compiere incursioni in segreto nascondendo la propria identità con attacchi quasi impossibili da sventare); la guerra per inganno (ostentare una falsa superiorità agli occhi del nemico), la guerra delle risorse (depredare i ricchi); la guerra degli aiuti economici (concedere favori apertamente cercando di controllare le cose in segreto); la guerra culturale (lanciare campagne di propaganda per assimilare chi la pensa diversamente)"23.
       "In questo tipo di conflitti, di cui sarebbe semplicemente insensato cercare di fornire un elenco esaustivo, l'informazione sarà onnipresente"24.


21 Id., pag. 102.
22 Id., pagg. 96 e 99.
23 Id., pag. 101.
24 Id., pagg. 96 e 101.


       Se questi, (li si condivida o meno in tutto o in parte), sono i nuovi concetti e le nuove frontiere della guerra e del terrorismo, frontiere cioè in cui, giova sottolinearlo, rientrano anche la diffusione delle idee e gli orientamenti culturali, si può ben dire che, con un po' di buona volontà da parte del giudice, in questa figura di "reato" - che inevitabilmente verrà introdotta in tutti i codici europei - potranno essere fatti rientrare qualsiasi attività e qualsiasi discorso sgraditi al potere costituito o a qualche gruppo di pressione.
       Anche il "reato" di "sabotaggio", su cui avremo occasione di tornare in seguito, nella sua smisurata latitudine offre a chi detiene il potere illimitate possibilità di repressione non solo di condotte in senso stretto, ma anche di scritti e di discorsi.
       In margine a questo capitolo aggiungiamo un appunto di carattere non giuridico che peraltro ci sembra molto illuminante. Del comitato scientifico della citata rivista "liMes" - che fa proprio il concetto di "terrorismo" delineato dai due colonnelli cinesi presentando come modello della forma più pericolosa e devastante di tale complessa figura, a un tempo criminale e strategica, il finanziere Giorgio Soros - fa parte Romano Prodi, attuale Presidente della Commissione Europea. È peraltro sconcertante considerare che proprio Prodi fu tra i promotori dell'iniziativa che il 30 ottobre 1995 portò al conferimento a Soros di una laurea honoris causa in economia alla prestigiosa Università di Bologna. L'informatissima rivista "Solidarietà", nel suo numero dell'ottobre 1995, si chiedeva quale titolo potesse avere a un simile riconoscimento in una università italiana colui che tre anni prima, nel settembre del 1992, aveva cinicamente speculato, oltre che su altre monete, proprio sulla lira provocandone una perdita di valore sui mercati internazionali di quasi il 30%.
       Ancor più sconcertante, o forse illuminante, è poi considerare che proprio Giorgio Soros, come pubblicamente dichiarato dal suo collaboratore italiano Emma Bonino, all'epoca "commissario europeo per gli aiuti umanitari", finanziò per un terzo la campagna per la promozione di quel "Tribunale penale internazionale per i crimini contro l'umanità" ("La Repubblica", 6 febbraio 1998, pag. 21), che Kofi Annan, Segretario Generale dell'ONU, salutò l'11 aprile 2002, all'atto della sua istituzione, come "l'anello mancante del sistema giudiziario internazionale" e "la migliore difesa contro il male" ("Avvenire", 12 aprile 2002, pag. 18). L'Associazione "Cittadinanzattiva" così commentò quell'evento: "il diritto può finalmente sconfiggere il nuovo terrorismo" (ibidem).
       Che il concetto di "terrorismo" - ovviamente connesso a pene particolarmente severe - nell'intenzione del legislatore europeo sia destinato a ricomprendere una gamma svariatissima e indefinita di condotte, risulta con evidenza da un'altra "proposta di decisione quadro" del Consiglio dell'Unione Europea relativa appunto alla lotta contro il terrorismo che è stata presentata a Bruxelles il 15 settembre 2001 dalla Commissione della Comunità Europea. Tale proposta, invero, al suo articolo 3 individua come azioni "terroristiche" una serie di condotte che nel giudizio comune, anche dei giuristi, col terrorismo nulla o ben poco hanno che vedere. In particolare il furto, le lesioni personali, la diffusione di sostanze contaminanti atte ad arrecare danno oltreché alle persone, anche soltanto ai beni, agli animali e all'ambiente, il danneggiamento di infrastrutture pubbliche, mezzi di trasporto pubblico, luoghi e beni pubblici; gli intralci alle forniture di acqua o energia, gli attentati mediante manomissione dei sistemi di informazione (evidente il riferimento alle incursioni telematiche degli "hackers"). A coronamento dell'elenco viene definito crimine terroristico anche la semplice "minaccia di commettere uno dei reati" elencati in detto articolo.
       Si obietterà che tali condotte vengono qualificate terroristiche dall'articolo in esame solo se ed in quanto siano messe in atto "a scopo intimidatorio e al fine di sovvertire o distruggere le strutture politiche, economiche o sociali del paese". Ma l'obiezione non vale molto. Ci si domanda invero: quando mai un furto o, più ancora, la minaccia di un furto (proferita con chi?), di cui non si specifica affatto che debba riguardare armi od esplosivi, può avere scopi terroristici? Forse quando è diretto a finanziare in maniera massiccia organizzazioni terroristiche? E allora perché non dirlo? E comunque, quando mai un furto, o peggio la minaccia di un furto, può avere "scopo intimidatorio"? Si apre, come ognun vede, un vasto campo di processo alle intenzioni e di testimonianze per sentito dire, specie con riferimento alle minacce. Di più: in una manifestazione di piazza a carattere antigovernativo (si pensi ai famosi "girotondi") o comunque sindacale, e quindi palesemente diretta, almeno in qualche misura, a "sovvertire le strutture politiche", ovvero quelle "economiche e sociali" del paese, un'ammaccatura a un'automobile della polizia, un graffio a un agente o un contromanifestante, diviene automaticamente reato terroristico passibile di estradizione.
       La cosa, francamente, ci sembra un po' eccessiva. Tanto più che anche qui la semplice "minaccia" di una manifestazione di protesta, che di solito comporta l'eventualità di scontri e danneggiamenti, può benissimo rientrare nella categoria di terrorismo configurata dalla Commissione della Comunità Europea, e che, nella fattispecie del danneggiamento, la legislazione di qualcuno dei 25 Stati dell'U.E. ben può far rientrare anche il semplice imbrattamento, e quindi le scritte sui muri.
       Persino per quanto riguarda le armi e gli esplosivi il citato articolo 3, nulla specificando sulla quantità e sul tipo e prevedendo il semplice "possesso" (o "minaccia" di possesso!), apre la stura ad applicazioni di smisurata ampiezza. L'articolo 585 del nostro codice penale, ad esempio, definisce "armi" non solo quelle da sparo (anche se ad aria compressa) ma tutte quelle, anche a lama, "la cui naturale destinazione è l'offesa alla persona", fra cui rientra il coltello a scatto. Inoltre esso introduce la categoria delle armi cosiddette "improprie", che comprende "tutti gli strumenti atti ad offendere dei quali è dalla legge vietato il porto senza giustificato motivo" e quindi anche i coltelli da tavola purché taglienti e ben appuntiti, "le catene" e "le fionde" (cfr. art. 4, 2° comma della legge 18.4.1975 nr. 110 sul controllo delle armi).
       Occorre poi tener presente che queste figure di reato "terroristico" vanno inquadrate nel contesto di un sistema in cui, vigendo il mandato di arresto internazionale, il processo potrà partire, senza la minima verifica delle prove, da qualunque procura della repubblica di un qualsiasi Paese dell'U.E..
       Nel valutare questa proposta e l'estensione che il concetto di "terrorismo" è destinato ad acquisire nell'ambito della Comunità Europea, è infine importante sottolineare che le previsioni di "reati terroristici" elencate all'articolo 3 sono soltanto dei "minimi" (pag. 103), onde evidente è il suggerimento ai singoli Stati di ampliarne la gamma. Esse sono talmente "minime" che è espressamente previsto un ampliamento di tale minimo da parte della stessa Unione Europea, che si riserva di intervenire anche per quanto concerne tanto la misura quanto la specie delle sanzioni (ibidem).

 

XII

ANCORA SULL'ARTICOLO 2: LA DIFFIDENZA VERSO LO STRANIERO COME MOTIVO DI DEPORTAZIONE. NASCONO A VIENNA LE LISTE NERE DEI "NEMICI" DELLA GLOBALIZ-ZAZIONE. - DOVE VENGONO IN PIENA LUCE LA LEGGE MANCINO E I SUOI OMOLOGHI EUROPEI (O TURCHI). - LA LEGGE TURCONAPOLITANO SULLA IMMIGRAZIONE COME PROLUNGAMENTO DELLA LEGGE MANCINO. SUOI PREVE-DIBILI DISASTROSI EFFETTI SULL'ECONOMIA IN GENERA-LE E IN PARTICOLARE SUI CONTRATTI DI LAVORO E SUL-LE LOCAZIONI

       Venendo ora alla terza delle figure di "reato" (diciassettesima nell'ordine dell'articolo 2) di cui al capitolo precedente abbiamo segnalato lo smisurato campo di applicazione, e cioè "razzismo e xenofobia", rileviamo anzitutto il carattere mistificante di questa espressione. Essa, invero, accosta, quasi fossero sinonimi, due parole di significato assai diverso, col palese scopo di attirare con la prima l'attenzione di chi legge su una ideologia certamente deprecabile quale è il razzismo - sulla cui criminalizzazione molti possono essere d'accordo pur in un regime democratico che peraltro ammette altre dottrine non meno riprovevoli - per far poi ricadere surrettiziamente la stessa condanna su condotte e atteggiamenti, qualificati "xenofobi", che col razzismo nulla hanno che vedere.        Per razzismo, infatti, si intende una dottrina che, negando l'insegnamento delle Sacre Scritture secondo cui il genere umano è unitario perché discende da due unici progenitori, Adamo ed Eva, ed è quindi stato riscattato da un unico Sacrificio, quello di Gesù Cristo, nuovo Adamo, postula, invece, anziché la monogenesi biblica, la poligenesi. In siffatto ordine di idee, generalmente correlato all'evoluzionismo darwiniano, le cosiddette "razze" umane vengono considerate ontologicamente diverse. Di qui la distinzione fra razze superiori, propriamente umane, e razze inferiori, pressoché animalesche, onde coloro che appartengono a queste ultime non sarebbero titolari di veri diritti, ma schiavi da assoggettare o nemici da distruggere.
       Di contro la "xenofobia" - termine peggiorativo escogitato per screditare atteggiamenti che nulla hanno di perverso o delittuoso - non poggia su alcuna premessa di natura biologica e neppure sottintende alcun senso di superiorità, ma esprime solo la reazione istintiva, specialmente in società agricole e in centri di non grandi dimensioni, di chi prova un senso di diffidenza verso lo straniero, e cioè verso la persona estranea alla propria comunità e quindi sconosciuta, anche se, in ipotesi, della stessa lingua e della stessa cultura. Tale diffidenza, ovviamente, tende a salire quando l'estraneo parli una lingua incomprensibile. Tanto più, poi, se presenti caratteri somatici esotici, sì da manifestare la propria estraneità anche solo a colpo d'occhio.
       Né può sorprendere il fatto che quel senso di diffidenza, e anche di timore, verso lo sconosciuto, in cui consiste la cosiddetta "xenofobia", aumenti ulteriormente quando non si tratta soltanto di alcuni estranei, ma di vere e proprie comunità con usi, costumi e linguaggio profondamente diversi, che pure, a loro volta, si chiudono a riccio in un atteggiamento che, reciprocamente, può definirsi "xenofobo" nei confronti della popolazione autoctona.

       Quando, di fronte a massicce immissioni di stranieri su un dato territorio, la cosiddetta "xenofobia" si generalizza ed eventualmente si organizza, essa si esprime in associazioni o partiti che propugnano il mantenimento e la salvaguardia delle tradizioni e dei valori locali. Ne sono radicate e ben note espressioni in Italia la Südtiroler Volkspartei e l'Union Valdotaine, ma anche il Partito Autonomista Trentino, il separatismo siciliano e quello sardo. Quale che sia il giudizio che ciascuno può esprimere su questi atteggiamenti e gruppi, non si può negare che criminalizzarne i sostenitori costituisca un atto ben più che antidemocratico: dispotico e totalitario.
       In definitiva il mandato d'arresto europeo colpisce, considerandolo delittuoso, ogni senso di appartenenza, di attaccamento e ogni sforzo di preservazione della propria identità sociale e culturale, e quindi il concetto stesso di tutela di una patria intesa sia in un senso ristretto come città, villaggio o vallata con le sue specifiche tradizioni, che in senso più ampio, come regione o nazione e persino come area di civiltà. Il non essere apatride e cosmopolita, sradicato da ogni tradizione o affetto, appare agli occhi del legislatore europeo come un delitto imperdonabile, meritevole delle pene più severe. Paradossalmente anche l'europeista convinto che, pur dando poco peso alle notevoli differenze che innegabilmente si riscontrano fra le tradizioni dei varî popoli dell'Europa, estende il suo senso di appartenenza all'intero continente, vantandone la superiore civiltà rispetto alle altre aree del globo, incorre nei rigori della normativa comunitaria. Così perversamente concepita l'Unione Europea appare come galera degli individui, tomba dei popoli, suicidio dell'Europa.
       Consegue a quanto si è detto che nel contesto giuridico (si fa per dire) della proposta, la qualifica di "xenofobo", e quindi di pericoloso criminale perseguibile da ogni giudice di ogni angolo dell'Unione, competerà di pieno diritto non solo agli esponenti, iscritti e simpatizzanti delle "destre" nazionaliste, ma anche a quelli della Lega, così come agli studiosi e ai membri di quei gruppi meridionalisti che, rivedendo le narrazioni oleografiche e stereotipate di quella pagina storica che viene esaltata sotto il nome di Risorgimento - e di post-Risorgimento - riportano alla luce le oppressioni, i delitti, le ruberie e le spregiudicate manovre economiche che la caratterizzarono e che sono la prima causa della povertà delle nostre regioni meridionali.
       Al di là di questi esempî che coinvolgono intere e vastissime categorie, e quindi milioni di persone, il mandato di arresto europeo correlato alla onnicomprensiva figura del razzismo e della xenofobia si presterà anche a vendette e ricatti a carattere individuale, mettendo, in un certo senso, tutti alla mercé di tutti.
       Si pensi al caso del proprietario di un appartamento che si rifiuti di darlo in locazione a un soggetto proveniente da un altro Paese dell'Unione Europea. Ebbene costui avrà buon gioco a denunciarlo presso un giudice del proprio Paese, propenso a porgere le orecchie alle doglianze di un connazionale, magari addirittura suo parente od amico, per aver tenuto un comportamento ispirato se non a razzismo, quanto meno a xenofobia. Ipotesi fantasiosa, eccessiva? No, in Francia Madame Andrée Delard, in cattive condizioni economiche e madre di un ragazzo minorato, fece un'inserzione in cui proponeva l'affitto di una camera del proprio appartamentino. Volendosi cautelare chiese che il "locatario (fosse) cristiano francese". La malcapitata fu condannata, attesa la gravità non eccessiva - bontà dei giudici - del crimine compiuto, ad una ammenda di 1000 franchi25. I presupposti dunque ci sono, si tratta solo di valutarne la portata su scala continentale.


25 Yann Moncomble, "Les professionels de l'antiracisme " chez Yann Moncomble, Paris 1987, pag. 96.

       Non va poi dimenticato che nel quadro normativo disegnato dalla proposta che, come si è detto e ripetuto, cancella i limiti della competenza territoriale, plurime denunce per lo stesso fatto potranno essere presentate presso svariati tribunali, nella più che fondata speranza che almeno una di esse raggiunga il bersaglio.
       Analoghe situazioni inevitabilmente si profileranno in caso di rifiuto di un posto di lavoro. È invero istruttivo tener presente che proprio in tale materia la stessa legislazione italiana già sanziona presunti comportamenti "razzisti" e "xenofobi". Ci riferiamo al decreto legislativo 25 luglio 1998 nr. 286, in materia di immigrazione, meglio conosciuto sotto il nome di legge Turco-Napolitano, che ai suoi articoli 43 e 44 (tuttora vigenti nonostante le modifiche introdotte dalla cosiddetta legge Bossi-Fini) istituisce una specie di inquisizione permanente non solo sulle assunzioni e sui licenziamenti, ma anche su tutto lo svolgimento del rapporto di lavoro. Considerato che la sola distinzione fra lavoratori fatta dal datore di lavoro, sia essa diretta o indiretta (sic!), per ragioni di razza, religione, ecc., costituisce comportamento sanzionato da detta legge (di cui si parlerà meglio nel prossimo capitolo), un imprenditore, per potersi sentire meno esposto ad azioni giudiziarie impegnative, costose e rischiose, dovrebbe assumere un congruo numero di extracomunitari di varie razze e religioni. Il tutto nel preoccupante contesto di una specie di perversa legge dei sospetti che, con inaudita novità, attribuisce valore di prova addirittura a manipolabilissimi dati statistici sulle assunzioni, le mansioni, le qualifiche, i trasferimenti, ecc. (art. 44, comma 9°) esponendo i datori di lavoro a continui ricatti. In questo quadro normativo l'unica regola sicura sarà quella di non assumere mai dipendenti del paese in cui l'impresa opera: italiani in Italia, tedeschi in Germania, francesi in Francia, e così via. Ciò spingerà masse di uomini ad emigrare favorendo quel rimescolamento e annichi limento delle stirpi e delle tradizioni che pare essere uno degli scopi principali del legislatore europeo.
       Riguardo a queste inedite categorie di "delitto" giova considerare che disposizioni siffatte in Italia restano ancora in massima parte lettera morta, perché troppo radicalmente confliggenti con una millenaria tradizione giuridica, e anche con principî costituzionali sin qui ritenuti fondamentali. Esse pertanto, quando non sono addirittura ignorate dagli operatori, vengono in genere ancora interpretate nel senso più restrittivo possibile, correlandole ai detti principî e a quelli generali del nostro ordinamento giuridico, ritenuti prevalenti.
       Le cose però cambiano, e di molto, quando entrano in gioco paesi lontani e diversi. Sarebbe infatti grave errore non tener presente che negli Stati ex comunisti ha lungamente predominato una mentalità giuridica opposta a quella occidentale e propensa alla criminalizzazione della parola e del pensiero. In ogni caso l'illimitata competenza di ogni tribunale dell'area comunitaria consente al denunciante di scegliere il giudice sulla base dei suoi orientamenti26, eventualmente anche aggiustando il tiro e cercandosi un altro giudice qualora quello prescelto non dia soddisfazione. Anche nel campo del lavoro, come in quello delle locazioni, è comunque prevedibile in linea generale che il cittadino europeo non assunto da un imprenditore di uno Stato della U.E. diverso dal suo, se convinto di essere stato discriminato per ragioni etniche, si rivolgerà alla magistratura della propria terra. Né va trascurato il fatto che la motivazione "razzista" o "xenofoba", essendo impossibile accertare le ragioni inespresse che, nei nostri esempi, hanno portato al rifiuto della casa o del lavoro, si risolve nella quasi totalità dei casi in un processo alle intenzioni, e apre varchi indefinibili, e pertanto illimitati, all'arbitrio del giudicante.


26 Saltando a pie' pari la competenza per territorio, diventa realmente possibile rivolgersi al giudice straniero amico, o affine per ideologia, o infine persino comprato, purché sia genericamente competente almeno per materia.

       Risulta evidente da quanto si è detto che anche sul piano economico questa normativa avrà effetti devastanti. Essa infatti agisce come una specie di spada di Damocle pendente non solo su tutti i contratti di lavoro e sulla generalità delle locazioni, ma anche sulle cooperative e le società in genere, che non potranno più costituirsi o mantenersi sulla base dell'incontro di persone appartenenti a certe comunità locali, regionali o nazionali, e, come tosto vedremo, nemmeno collegate fra loro da determinati principî religiosi o comunque ideali.
       Del resto la nuova Europa si stava già preparando da lontano al mandato di arresto. Abbiamo invero sottomano la rubrica "Professioni e Carriere" del numero del 7 ottobre 1999 del quotidiano "La Repubblica" in cui figura una vistosa offerta di "lavoro" con la quale si cercavano candidati al posto di "agente temporaneo" dell'"Osservatorio Europeo dei Fenomeni di Razzismo e Xenofobia" con sede in Vienna, Rahlgasse 3, "Sito Web http://www.eumc.at". I compiti di questi "agenti temporanei", indicati nel detto annuncio, sono i seguenti: "assicurare i contatti con le tavole rotonde nazionali, i centri di documentazione e di ricerca, i centri nazionali di lotta alla discriminazione, nonché con i governi degli Stati membri e coordinarne le attività; dirigere e coordinare le attività della rete RAXEN (scil. "razzismo e xenofobia", N.d.A.); passare in rassegna le ricerche in atto altrove e identificarne le lacune; concepire e gestire una banca dati di ricerca sul razzismo e la discriminazione e sugli episodi ad essi collegati". I candidati venivano invitati a presentare una "lettera di motivazione" per provare la loro vocazione alla repressione dei "criminali" xenofobi.
       Dunque, quando la nuova normativa entrerà in vigore saranno già pronte lunghe liste di reprobi da togliere di mezzo, apprestate in anni di lavoro da una articolata rete di controllo e di delazione che sta selezionandoci a nostra insaputa.
       Anche sotto questo aspetto l'ingresso della Turchia nella U.E. e il suo probabile ritorno all'islamismo puro aprono vaste prospettive di ulteriore criminalizzazione. Apprendiamo per esempio, infatti, da un altro quaderno di "liMes" che per la potente organizzazione islamica "Milli Görus", con sede in Germania, coloro che operano per l'integrazione degli islamici immigrati in Europa si rendono colpevoli di "discriminazione etnica" e "razzismo"27, delitti in cui incorrono sicuramente e a fortiori coloro che segnalano i pericoli dell'immigrazione islamica o censurano i costumi di quei popoli, con riferimento in particolare alla poligamia, alle mutilazioni sessuali delle donne, alle "burqe" e allo schiavismo.


27 "liMes", "Le spade dell'Islam", 26.11.2001, pag. 154.



 

XIII

MANDATO DI ARRESTO EUROPEO E LEGGE MANCINO: LA CRIMINALIZZAZIONE DEL PENSIERO. - IL GRANDE ORECCHIO DEL GRANDE FRATELLO

       Il compito di "lotta alla discriminazione" attribuito all'"Osservatorio europeo dei Fenomeni di Razzismo e Xenofobia" rivela al penalista che il mandato di arresto comunitario ha una portata liberticida assai maggiore di quella, pur terribilmente inquietante, che abbiamo sin qui considerato. Tale "lotta", invero, si riferisce palesemente ad una serie di leggi già esistenti e sostanzialmente omogenee, emanate a livello non solo europeo, ma mondiale, nel cui filone si colloca in Italia la famigerata, eppure non abbastanza nota, legge 25 giugno 1993 nr. 205, più conosciuta sotto il nome di "legge Mancino", intitolata "Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa". È indubbiamente nel contesto della sua normativa e di quelle ad essa affini promulgate in altri paesi che verrà letta la generica figura "razzismo e xenofobia". Tanto più che tali leggi si riferiscono tutte alla convenzione internazionale di New York del 7 marzo 1966, e cioè a un documento che tende a imporsi a tutta l'umanità anche perché nato nel contesto ideale e organizzativo dell'ONU, al cui statuto e ai cui obiettivi la legge Mancino continuamente si richiama. Evidentemente non è qui possibile illustrare se non per linee molto sommarie l'illimitato contenuto oppressivo e repressivo di quel testo legislativo da incubo, onde rinviamo chi voglia approfondire l'argomento al commento giuridico e storico, che ne scrivemmo nell'ormai lontano 199528.


28 Carlo Alberto Agnoli, "Legge Mancino - Come trasformare gradualmente l'Italia in un campo di concentramento",
Operaie di Maria Immacolata, Editrice Civiltà, Via G. Galilei 121 - Brescia.


       In questa sede ci limitiamo a richiamare l'attenzione del lettore sul dato di fatto puramente lessicale, verificabile in qualsiasi vocabolario della lingua italiana, che "discriminazione" è sinonimo di "distinzione" e sul rilievo che il legislatore, severamente punendo chiunque "in qualsiasi modo inciti alla discriminazione... per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi" non distingue fra l'incitamento fatto in pubblico e quello fatto in privato, fra quello scritto e quello orale.
       Discriminare significa cogliere il "discrimen", cioè la differenza, e dunque distinguere. Al di là dell'oscuro potere evocativo che politica e media hanno creato attorno a questo vocabolo, l'atto del discriminare, del distinguere, coincide con l'atto del pensare.
In base a quali criteri si potrà perciò dire che la tale discriminazione va punita in quanto espressione di una distinzione (discriminazione) ingiusta? Un criterio ragionevole potrebbe essere quello per cui il reato comune compiuto per motivi discriminatori è considerato più grave. Al contrario qui si fissa un criterio molto, molto più largo: ogni discriminazione in sé e per sé (ogni distinzione, dunque) basata sulla religione o sulla razza, sull'etnia ecc., è reato.
       Se ne deve dunque concludere che basta che un padre, con riferimento alle proprie convinzioni "religiose" e morali, inciti un figlio a rifuggire (distinguere, discriminare) dagli zingari, famosi per la loro propensione a vivere di espedienti, perché sia da ascrivere alla categoria dei delinquenti. Similmente viene criminalizzato, nel contesto concreto di una disputa fra padre e figlia, perché discriminante in senso etnico-razziale, l'uso di antichi detti e consigli come "moglie e buoi dei paesi tuoi". Non si parli poi di quei numerosi proverbi locali che riflettono antiche rivalità tra popolazioni vicine, come quello livornese: "meglio un morto in casa che un pisano alla porta".
       Del resto che il legislatore sia perfettamente consapevole del fatto che "discriminazione" altro non significa che "distinzione"29, risulta esplicitamente dal già richiamato articolo 43 della legge Turco-Napolitano, il cui primo comma così esordisce: "Ai fini del presente capo costituisce discriminazione ogni comportamento che direttamente o indirettamente comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l'ascendenza e l'origine nazionale o etnica, le convinzioni o le pratiche religiose".


29 La netta preferenza che il Mancino, nel proporre - evidentemente quale subordinato obbediente esecutore di ordini superiori - la sua legge "monstrum", ha dimostrato verso la parola "discriminazione" nei confronti del suo sinonimo "distinzione", è evidentemente da ascrivere ad un calcolo meramente psicologico, di impatto mass- mediatico e manipolatorio. Tale vocabolo, invero, ha il vantaggio di avere una suggestiva assonanza con la parola "crimine".

       Premessi questi significativi saggi, sconfinanti nel paradossale e nel ridicolo, per non dire nell'allucinante, ma purtroppo perfettamente inquadrabili nelle previsioni della legge Mancino, il lettore non potrà stupirsi se nel citato studio del 1995, con argomenti cui non vedremmo quali obiezioni si possano contrapporre, rilevavamo che nello spirito di quella inaudita normativa non vi sono azioni o giudizi umani tesi alla differenziazione che non possano qualificarsi come reato. Ciò, si badi bene, pure se tale differenziazione sia motivata da ragioni non religiose in senso stretto, ma anche ideologiche.
       Nel richiamare quanto più diffusamente detto su questo punto nel ripetuto studio, ci limitiamo qui ad addurre a riprova di questo asserto l'esempio di un genitore che ammonisca la figlia a non sposare un musulmano rammentandole la dura condizione della donna nella famiglia e nella società islamica: dall'umiliazione della poligamia e del ripudio, a quella del "chador" o della "burqa", al divieto di accedere allo studio e all'impiego, alla frequente mutilazione invalidante della clitoridectomia col suo seguito di dolori rinnovantisi ad ogni ciclo mestruale. È evidente che il fatto che tale "incitamento alla discriminazione" si ricolleghi a principî cristiani, nel contesto di una concezione del pari cristiana della donna, ovvero derivi da una ben diversa angolatura libertaria di matrice marxista o femminista, non cambiano né il risultato né l'animus "discriminatorio" di colui che rivolge alla figlia questi incitamenti. L'estensione della punibilità dalla discriminazione per motivi religiosi in senso stretto a quella derivante da qualsiasi Weltanschauung costituisce dunque il risultato di una interpretazione estensiva che discende logicamente, e direi necessariamente, dalla ratio della norma e non richiede pertanto il ricorso all'analogia, non consentito in materia penale30.


30 Si osservi che il termine religione, anche nel linguaggio comune, non è necessariamente ed esclusivamente legato all'idea di divinità. Si parla infatti correntemente - è sufficiente consultare un dizionario - di religione della Patria, della famiglia, dell'onestà… Se dunque il legame fra umano e divino è la prima idea che il vocabolo "religione" richiama, è anche vero che il concetto di religare (unire insieme) o comunque quello di religere (avere riguardo, cura), non comportano obbligatoriamente un legame con la sfera del divino. E in effetti è indiscutibile che le ideologie, anche atee, hanno in sé una valenza religiosa (intesa appunto come religare, o religere), che rappresenta l'esatto corrispondente della morale religiosa stricto sensu. In senso estensivo (non analogico), di regola anche l'ateo ha una sua religione. Dunque, reprimere la discriminazione per motivi religiosi significa inevitabilmente reprimere la discriminazione politica ed ideologica. Significa insomma vietare di pensare, di avere convinzioni: si vedrà in effetti più avanti come l'esplicito traguardo finale della tirannide europeista sia proprio quello di sanzionare chi discrimina taluno per ragioni ideali o ideologiche (per diversità di convinzioni). È chiaro che applicare una tale folle normativa è impossibile, in concreto: l'ottica, si è detto, è quella di criminalizzare previamente tutti. Solo poi si deciderà arbitrariamente chi punire fra questi "tutti".

       Ci troviamo, insomma, di fronte ad un'applicazione assurda della ideologia del "politicamente corretto", palesemente finalizzata a reprimere drasticamente ogni critica e ogni opposizione, fornendo al potere la possibilità di togliere di mezzo qualsiasi persona in qualsiasi momento grazie a una legge che criminalizza chiunque solo osi aprir bocca per spingersi al di là di qualche banale osservazione sulle condizioni meteorologiche.
       Giova aggiungere a questo riguardo che anche sul piano della prova sarà estremamente difficile difendersi dall'accusa, pur se falsa, di aver proferito in una conversazione privata una certa frase.
       Che il "delitto" di "razzismo e xenofobia" inteso nella accezione e nella estensione della legge Mancino e dei suoi omologhi sparsi per il mondo fosse al vertice dei pensieri e degli obiettivi degli organi dell'Unione Europea, risulta evidente dal fatto che il 28 novembre 2001, e cioè il giorno prima che il Parlamento Europeo esprimesse il suo parere sulla prima proposta relativa al mandato di arresto, la Commissione delle Comunità Europee avanzava un'ulteriore "proposta di decisione quadro del Consiglio dell'Unione Europea": questa volta - guarda caso - proprio sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia". La disamina di quel progetto di legge allargherebbe di troppo la nostra trattazione. Ci limitiamo pertanto a dire che al suo articolo 3, primo comma, lettera a), esso stabilisce che per "razzismo e xenofobia" si intende "il convincimento che la razza, il colore, la discendenza, la religione o i convincimenti, l'origine nazionale o l'origine etnica siano fattori determinanti per nutrire avversione nei confronti di singoli o di gruppi".
       Commentando brevemente questa definizione osserviamo anzitutto che essa criminalizza un'opinione, un "convincimento" (ma vedremo subito che si tratta di ben più di un solo "convincimento"). In secondo luogo, a complemento di quanto già detto al riguardo all'inizio del precedente capitolo, va rilevato che il termine "razzismo", abbinato a quello "xenofobia", quasi fossero sinonimi o costituissero un'endiadi, assume qui proporzioni illimitate, oserei dire cosmiche perché, nell'ottica europeista, esso comprende non solo "la razza e il colore", ma anche "l'origine nazionale" e quella "etnica" e, quel che più importa, la religione e gli altri "convincimenti". Ci troviamo di fronte ad una tanto fraudolenta quanto rozza, per non dire grottesca manipolazione del significato delle parole, quasi vi fosse un qualche rapporto fra le dottrine razziste e l'"avversione" per i "convincimenti" politici, filosofici o religiosi magari del proprio figliolo, forse un tempo condivisi dalla stessa persona che oggi li ripudia e li combatte. Richiamiamo l'attenzione del lettore sul fatto che questo smisurato e manipolatorio ampliamento in campo legislativo delle parole "razzismo" e "razzista" è stato preparato sul piano linguistico attraverso i mass-media. È al loro modo di esprimersi, invero, che si deve se oggi siamo arrivati al punto che non è infrequente sentir tacciare di "razzismo" ad esempio chi deplora l'omosessualità. Quasi che un giudizio morale, espressione di un "convincimento" religioso o comunque ideale, investisse la "razza", vale a dire - si ripete - le presunte origini biologiche di chi, fosse pure un prossimo congiunto, tiene un certo comportamento in campo sessuale.
       È poi chiarificante rilevare che l'equiparazione della "religione" ai più indeterminati e generici "convincimenti" espressamente contenuti nell'articolo citato, conferma la nostra illustrata interpretazione estensiva della parola "religione" nel contesto della legge Mancino. In definitiva nulla sfugge alla frenesia punitiva e oppressiva e alla smania di onnipotenza del legislatore europeo.
       Altrettanto insidioso e manipolatorio è l'uso della parola "avversione". Tale sostantivo, invero, corrisponde al verbo "avversare". Ora ci si domanda: non è forse la lotta politica, la contesa fra i partiti, da qualunque delle parti la si prenda, tutta fondata sulla "avversione" per i partiti e per le idee contrapposti? E, nel campo della religione, non potrà più un cristiano "avversare" per non dire addirittura aborrire non solo le pratiche infami del satanismo, ma anche i sacrifici umani delle religioni americane precolombiane e dell'induismo con la sua usanza dell'uccisione delle vedove sulle tombe di mariti e i suoi omicidi rituali connessi ai culti di Shiva, Dhurga e Kalì? Potrà più il missionario reduce dal Sudan "avversare" l'Islam che, in conformità ai principî coranici della "guerra santa", stermina le popolazioni di quella infelice terra dimenticata da un Occidente egoista e rinnegato e ne conduce schiavi i bambini vendendoli sui suoi mercati? E non potranno "avversarlo" raccontando il loro calvario neppure le stesse vittime di quella feroce e smisurata persecuzione, fortunosamente esuli in Europa?
       Di contro: come potrà anche il più tiepido e moderato del miliardo di islamici che popolano il mondo sfuggire ai rigori della normativa fatta propria dall'Unione Europea e propugnata dall'ONU su scala mondiale con la citata convenzione di New York del 7 marzo 1966?
       A ben vedere, infatti, ogni vero "convincimento" - e cioè ogni convinta opinione o credenza - comporta necessariamente l'"avversione" a quelli ad esso contrapposti. Invero è la "distinzione" o, se si preferisce, la "discriminazione" fra vero e falso e quindi fra ragione e torto, giusto e ingiusto, bene e male - vale a dire quella distinzione per cui l'uomo quale essere razionale e morale si distingue dalla bestia e che è alla base di ogni scienza, conoscenza e principio etico - è la distinzione, si diceva, che comporta "avversione" a ciò che si ritiene essere errore e male. Tale avversione poi non può non investire i "gruppi", le societates coagulate intorno ai "convincimenti" che si reputano errati e malvagi e che costituiscono la loro ragion d'essere. Se così non fosse non sarebbe possibile esprimere e nemmeno concepire nel proprio intimo abominazione, ad esempio, per il nazionalsocialismo o il comunismo e quindi per i partiti nazionalsocialisti e comunisti; né i sostenitori del principio democratico potrebbero "avversare" i "gruppi" e in particolare i partiti che lo respingono. Si noti bene, poi, che l'"avversione" per "convincimenti" che si considerano errati e devianti non comporta necessariamente conflitti armati, né si estende, del pari necessariamente, alle persone che li professano. Il cristianesimo, invero, per quasi tre secoli, fino alla battaglia del Ponte Milvio, ha avversato nel più risoluto dei modi il paganesimo esecrandone gli errori e le crudeltà, ma solo con lo strumento della predicazione, dell'esempio e del martirio, sofferti e non inferti, e nella convinzione di offrire verità e salvezza a chi si riconosceva nella "societas" pagana. Questa e non altra è stata l'opera degli apostoli e, sul loro esempio quella dei missionarî, che sono animati da amore e non certo da odio verso le persone che si sforzano di convertire: è il vecchio motto cattolico: "diligere errantem, interficere errorem" e cioè "amare colui che è nell'errore" e, proprio in forza e come espressione di questo amore, "uccidere l'errore" che lo avvilisce e lo schiavizza. Come il maestro col discepolo, come il medico col malato che certamente, "avversando" gli errori del primo e la malattia del secondo, agiscono nel loro interesse e per amor loro.
       Sulla base di queste, peraltro ovvie, considerazioni possiamo dunque concludere che nell'ottica del Consiglio dell'Unione Europea sono tutti i cittadini dell'Unione Europea e, nella prospettiva mondialista ONUsiana, quelli di tutta la terra, che vengono criminalizzati in quanto esseri pensanti, e quindi in quanto esseri umani, da una tenebrosa casta di eurocrati e di dirigenti del Nuovo Ordine Mondiale, longa manus a sua volta di una più alta e defilata gerarchia, protesa alla più assoluta, vasta e incredibile tirannide che la storia ricordi31. In questa inaudita prospettiva ognuno


31 Non è questa la sede per affrontare l'argomento: basti qui citare la significativa opera La ricostruzione del tempio, ed. Marsilio, Venezia 1996, di Giuliano di Bernardo, Gran Maestro del Grand'Oriente d'Italia e successivamente Gran Maestro di una loggia da lui stesso fondata, riconosciuta peraltro dalla Gran Loggia unita d'Inghilterra. In questo testo si vagheggia massonicamente un nuovo ordine mondiale in cui spariranno le grandi religioni per dar luogo ad un misticismo utopistico, che ricostituirà l'unità mitica con Dio, distrutta dalle religioni, e sarà condiviso da tutte le genti. Ma come si perviene "alla fine delle grandi religioni"? Grazie, guarda caso, alle "legislazioni ispirate al rispetto dei diritti umani, in paesi più progrediti che favoriscono (con sanzioni penali, N.d.A.) l'integrazione di popoli diversi… alla caduta delle barriere secolari di difesa della razza che si vanno progressivamente sgretolando (…). In generale - nota compiaciuto l'autore - stiamo assistendo a una mescolanza delle razze le quali perdono, lentamente ma inesorabilmente, i tratti specifici che le hanno contraddistinte da tempi immemorabili. Sembra che l'umanità si stia avviando verso la creazione della razza unica e indistinta". In un crescendo di entusiasmo massonico lo scrittore prosegue: "Le barriere millenarie della razza, della lingua, della religione, della cultura, che hanno prodotto conflitti e guerre devastanti, cadranno lentamente ma inesorabilmente, favorendo così l'avvento dell'uomo monotòno, espressione della razza unica, della lingua unica, della cultura unica" (pagg. 90/92). C'è da rabbrividire, ma è utile soffermarsi a notare come le differenze di razza, di religione, di cultura - e perciò di convincimenti - demonizzate dal Gran Maestro su scala planetaria, rappresentino proprio quell'ostacolo che l'U.E. si appresta ad eliminare, riducendo al silenzio, grazie alla violenza, chi vorrà opporsi al pensiero unico, alla religione unica, all'uomo standard, prefabbricato ed omogeneizzato in ogni senso, spiritualmente e fisicamente. Pensare, essere diversi, è reato: vietato andare controsenso. Bello e brutto, bianco e nero, intelligente e demente, giusto ed ingiusto... tutto sarà abolito per legge in nome dell'eguaglianza. Certo, sopravviveranno gli pseudo-anticonformisti, anch'essi prefabbricati, nella importante misura in cui saranno utili dal punto di vista psicologico, individuale e collettivo, per evitare che l'impressione di essere in gabbia si traduca, in chi ancora un po' ragiona, in una certezza. Vero è che l'utopia di Di Bernardo, della massoneria, dell'U.E., assomiglia troppo a quel sogno socialista di mitica eguaglianza fra gli uomini, che, pur più grezzo e meno paludato di misticismo, ha prodotto almeno 100 milioni di morti nel corso del XX secolo. In conclusione, per dare una prima idea di quale forza effettiva sostenga questi ideali massonici, basti notare che il famoso padre paolino Rosario Esposito, fautore dell'accordo fra Chiesa e Massoneria, ricordava, nel 1979, che la Società delle Nazioni "fu voluta dai massoni… e l'attuale Organizzazione delle Nazioni Unite è stata anch'essa caldeggiata in primo luogo dai massimi dirigenti della politica americana; ora è risaputo che questi dirigenti sono in gran parte affiliati alle logge, come è vero che su 50 presidenti nordamericani, 30 sono stati massoni" (Cfr. Rosario Esposito, "La massoneria in Italia. Dal 1800 ai nostri giorni", ed. Paoline, Alba 1979, pag. 477).

dovrà considerasi in libertà provvisoria - una libertà tremebonda e meramente fisica - alla mercé di occulti controllori: gli addetti all'"Osservatorio Europeo (e domani mondiale) dei Fenomeni di Razzismo e Xenofobia". Saranno costoro a stabilire, avvalendosi dell'onnipresente e onnipotente mandato d'arresto internazionale, se e quanto questo fantasma di libertà possa continuare.
       Questo già più che inquietante panorama diviene ancor più fosco sol che si rifletta alle possibilità delle sempre più sofisticate tecniche di intercettazione e registrazione non solo telefonica, ma anche ambientale, capaci di captare ogni nostro discorso.
       La lotta contro il terrorismo fornirà il comodo pretesto per legittimare l'impiego nel processo penale di tali registrazioni, pur se effettuate senza la previa autorizzazione della magistratura. Sarà il Grande Orecchio del Grande Fratello.

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