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Ucciso per Cristo
Don Giuseppe Jemmi
(26/12/1919-19/04/1945)
di Mirco Pervilli

      Alla sua morte nessuno gridò o scrisse "Santo subito!", ma diciamo senz'altro che avremmo preferito che il prossimo 1° Maggio si celebrasse la canonizzazione di un Martire, ucciso per Cristo, ucciso perché aveva posto Cristo al di sopra di tutto e di tutti: lui non aveva tradito e umiliato Cristo ponendolo allo stesso livello di un Budda... come alcuni decenni dopo farà qualche giuda ad Assisi... ("ma questa è l'ora vostra e la potenza delle tenebre", Lc 22, 53)

La Redazione

Grassetti, colori, parentesi quadre, sottolineature, corsivi
e quanto scritto nello spazio giallo sono generalmente della Redazione

      Don Giuseppe Jemmi nasce a Montecchio Emilia (RE) il 26 Dicembre 1919. All'età di 10 anni, nel 1929, riceve la prima comunione e già esprime il desiderio dì farsi prete. Nell'ottobre del 1930 entra in seminario a Marola (RE) e, nel 1939, riceve la sacra tonsura e comincia gli studi teologici.
      Nel 1943 è ordinato sacerdote dal Vescovo Mons. Eduardo Brettoni e mandato vice-parroco a Felina, dove la guerra ancora in corso —come in tutt'Italia— ha distrutto ogni cosa, suscitando odio, rancori, desideri di vendetta e, soprattutto, provocato tante vittime.

 

 

      C'è tanto lavoro da fare, anche perché Don Corsi [il vecchio parroco di Felina] è ormai anziano e malato. Don Giuseppe va ogni giorno, dopo la preghiera, in bici o a piedi a visitare i parrocchiani, in primo luogo i bambini, i vecchi, i malati, rivelando subito il suo animo buono, sempre sorridente e disponibile, pieno di carità verso tutti. Non attende in canonica, che vengano da lui; è lui che va dagli altri, parlando con chiunque e aiutando tutti; è un curato molto amato e, per questo, già "sotto sorveglianza" da alcuni malintenzionati.
      Nel settembre 1943, dopo l'armistizio, si avvia la lotta per la resistenza ai nazifascisti. Aiuta i perseguitati dai violenti di ogni "colore", come un buon fratello sacerdote sempre fa; affronta ogni pericolo e non si arrende neppure quando rischia la vita (situazione a quel tempo assai diffusa).

 

      Nel contempo in quella zona si affermano i partigiani comunisti e il dilagante clima di odio, specie contro i preti, è in continuo aumento. Nella notte tra il 23 e il 24 marzo 1945, vengono uccisi due padri di famiglia ed il loro funerale è celebrato da Don Giuseppe che piange tristemente come un bambino. Il 10 aprile 1945, è la Santa Pasqua. Don Giuseppe si reca di casa in casa (con cotta e stola) per le benedizioni pasquali e continua nella sua missione sacerdotale nel proclamare la pace, l'amore fra gli uomini: tutti fratelli, tutti figli di Dio.
      Il 19 aprile 1945, Don Giuseppe si reca per celebrare la Messa a Poiago (RE) per un altro funerale, ma di lì a poco qualcosa cambia.

 

 

 

 

 

      Nel rientro a Felina (RE), alle 13:00 circa, lo avvisano che due persone l'hanno cercato per chiedere soccorso; dato il suo animo buono e gentile, ma allo stesso tempo caparbio, sale in sella alla sua bici per recarsi all'appuntamento.
      All'arrivo sul luogo dell'incontro capisce che qualcosa non va... viene rapito da partìgiani comunisti che lo trascinano tra Monchio ed il monte Fosola (RE), dove viene deriso, percosso ed offeso. Solo per un istante riesce a liberarsi dai suoi persecutori, ma immediatamente ripreso ed infine ucciso col metodo più diffuso: una raffica di mitra che mette fine alla sua breve (ma vissuta intensamente) vita terrena, all'età di 25 anni.

      L'unica "colpa" di Don Giuseppe Jemmi è stata quella di vivere pienamente il Vangelo («...beati voi quando vi insulteranno, perseguiteranno e diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia...» Mt 5, 11) e di diffondere l'amore di Gesù Cristo e di Dio verso i fratelli, proclamando assiduamente la pace fra gli uomini, il perdono, dando sostegno a tutti al di là della situazione che si presentava, incurante del pericolo, concedendosi a tutti i bisognosi al di là d'ogni bandiera politica, cosa questa "poco gradita" a certi gruppi armati partigianì.

Mirco Pervilli

 

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