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IL PAPA E GLI EBREI
di Franco Damiani

       Non so perché ma quando penso a Massimo Introvigne o a don Piero Cantoni mi viene alla mente l'immagine del cavallo di Troia, come l'immagine di un falso d'autore... Ricordo Introvigne quando non era ancora "Professore", quando in Alleanza Cattolica non era ancora quel personaggio di primissimo piano che ora pare essere, quando insieme partecipavamo alle riunioni di A.C. animati da puro e combattivo spirito tradizionalista (in difesa anche di quel Mons. Lefebvre e di quella Fraternità San Pio X che poi il "Prof." Introvigne elencherà tra le sette pericolose per l'ordine pubblico!), e ricordo anche la sua metamorfosi "intellettuale", grazie alla quale, cambiata barricata, è diventato famoso e ascoltato... Ma si ricordi che "transit gloria mundi" e che "veritas manet in aeternum".
       Si è mai chiesto il Prof. Introvigne se l'audience di cui gode è creata ad arte perché fa comodo a qualcuno?

S. P.

Grassetti, colori, parentesi quadre, sottolineature e quanto
scritto nello spazio giallo sono generalmente della Redazione

       Leggo sul "Foglio" del 23 agosto l'articolo-lettera di Massimo Introvigne "Il Papa e gli ebrei", secondo il quale la "teologia della sostituzione" sarebbe stata "ampiamente diffusa per secoli nei manuali e nella predicazione" senza però essere stata "mai insegnata dal magistero (sic) della Chiesa in modo ufficiale.    
       A parte il fatto che, come dice il semplice buon senso, sarebbe decisamente singolare che una "teologia" venisse insegnata per secoli (qui, anzi, si tratterebbe addirittura di quasi due millenni) nei manuali e nella predicazione contro l'insegnamento del Magistero, l'affermazione di Introvigne è smentita
       — da oltre diciannove secoli di Magistero concorde che, fedele al Vangelo ("Voi avete per padre il diavolo" rispose N.S. Gesù Cristo ai farisei che vantavano la propria discendenza da Abramo, cfr. Gv. 8, 31-47), ha sempre insegnato l'opposizione irriducibile tra Chiesa e sinagoga (questo ancora fino all'enciclica mai pubblicata di Pio XI Humani generis unitas, del 1937, che nel condannare l'antisemitismo razziale ribadiva solennemente tale "teologia");
      — è smentita dall'insegnamento concorde dei Padri della Chiesa, da S. Giovanni Crisostomo a S. Tommaso d'Aquino,
      — nonché, last but not least, dalla liturgia (lex orandi lex credendi), che nelle le orazioni del Venerdì Santo (quindi in occasione particolarmente solenne) ha sempre insegnato a pregare pro perfidis iudaeis, ut Deus et Dominus noster auferat velamen de cordibus eorum, ut et ipsi agnoscant Jesum Christum Dominum nostrum".   
      Per quasi duemila anni i cattolici hanno sentito interpretare in questo preciso senso la parabola dei vignaioli perfidi, mirabile esempio di come la "teologia della sostituzione" fosse nient'altro che il Magistero infallibile della Chiesa.
      Le affermazioni di Wojtyla e Ratzinger nonché quelle di
don Pietro Cantoni, teologo di "Alleanza Cattolica" che ha l'ardire di contrapporre la propria autorità a quella concorde dei padri della Chiesa,  contraddicono quindi patentemente un Magistero e una prassi liturgica bimillenari.
      L'affermazione che Israele ha una vocazione irrevocabile è vera, ma, poiché una mezza verità è peggiore di una menzogna, e il modernismo è specialista in mezze verità,  va completata dal riconoscimento che
l'Israele attuale, erede di quello farisaico-talmudico responsabile della condanna a morte di N.S. Gesù Cristo, a quella vocazione è venuto meno e si trova quindi attualmente in fase di riprovazione da parte di Dio, avendo rifiutato il Suo Figlio unigenito mandato a redimere dal peccato tutta l'umanità. Anzi l'Israele attuale è colpevole di un peccato inescusabile, avendo rigettato l'elezione accordatagli da Dio, che era in funzione del Verbo Incarnato, e interpretando al contrario tuttora tale elezione come un privilegio accordatogli ex se ipso, per una propria presunta superiorità razziale su tutti i popoli della terra, destinati a essere da lui governati (leggasi il Talmud).   
      
E' quindi vietato a ogni cattolico che voglia rimanere tale piegarsi a tale inusitato insegnamento, senza alcun precedente nella storia e nella tradizione, pur se esso sembri provenire dalla suprema cattedra.
      A esso, che oggi cerca di imporsi con tutte le tecniche, dalla persuasione occulta al terrorismo intellettuale,  bisogna al contrario opporre una resistenza incrollabile, anche a costo del supremo sacrificio.   
       Mi sia consentito esprimere lo sdegno non tanto per l' apparente ignoranza di queste di cose da parte di un intellettuale noto e con vasta audience come Introvigne, che sicuramente le conosce ma finge di ignorarle per semplice ossequio al nuovo corso ecclesiale e in spregio della Verità, quanto per l'ipocrisia di cui egli condisce il suo scritto cercando di far passare Ratzinger come saggio conservatore che "non ignora le differenze".
       Un elementare dovere di coerenza vorrebbe innanzitutto  che un vicario di Cristo, nel momento in cui capovolge così spettacolarmente una dottrina bimillenaria, lo dichiarasse apertamente, dichiarando ex cathedra che i suoi predecessori si sono sbagliati per quasi due millenni e che lui è il primo ad aver capito il Vangelo.
       Naturalmente non può farlo perché il popolo cristiano se ne accorgerebbe e capirebbe che ciò mina in maniera irreparabile il dogma dell'infallibilità. Un semplice credente, nemmeno particolarmente colto, potrebbe domandarsi: "Ma allora, se si sono sbagliati per tanto tempo, perché non potrebbe sbagliarsi questo qui?".
       No no, queste eresie vengono seminate da quarant'anni in dosi omeopatiche, sperando, come fanno i ladri di Pisa, che la gente in altre faccende affaccendata non se ne accorga.   Per poi ripristinare inflessibilmente, naturalmente solo per sé e per le proprie teorie anticristiane, quell'infallibilità negata ai predecessori. (...)
       La "differenza", caro direttore [del "Foglio"] e caro Introvigne, è semplicemente Nostro Signore Gesù Cristo, di cui Ratzinger è o dovrebbe essere il Vicario e che gli ebrei di oggi, dopo duemila anni, ancora rifiutano e disprezzano.
       Agli applausi e ai sorrisi per il suo "vicario" essi contrappongono tuttora tale inalterato odio e tale inalterato disprezzo.
       E mentre la parte cattolica o sedicente tale si profonde in inchini, adulazioni e scuse sicuramente rivolti a una potenza umana che non si vuol avere ostile, non una parola è venuta dagli ebrei increduli, in questi duemila anni e nemmeno in quest'ultima occasione, di scusa o di resipiscenza per tale nefando crimine
       Ragion per cui quegli applausi e quei sorrisi, uniti alle parole di Ratzinger, di don Cantoni e di Introvigne, vanno a formare un impasto infernale, per il quale invoco la misericordia di Dio. (...)

Franco Damiani

   
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